"Ogni volta che si inizia una campagna, è come aprire la porta di una stanza buia: nessuno può sapere cosa nasconde l'oscurità. Questa però volta sarà diverso: tutto il mondo resterà col fiato sospeso!"
Con queste parole, nella notte del 21 giugno 1941, la più breve dell'anno, Hitler avvia la conquista dell'Unione Sovietica. Lungo un fronte di 2000Km, l'imbattuto esercito tedesco avanzava nello sconfinato territorio russo con oltre 3 milioni di uomini, 3000 carri armati, 600mila mezzi di trasporto, quasi 10mila cannoni e 3000 aerei. Alle spalle delle divisioni in prima linea, gli SS-Einsaatzgruppen (reparti di sterminio) di Reinhard Heydrich, capo della sicurezza del Reich, sono pronti a eseguire il progetto di eliminazione della classe borghese sovietica, commissari politici, insegnanti, giornalisti, religiosi e, naturalmente, degli ebrei.
L'Armata Rossa era un esercito numeroso quanto quello tedesco, ma dotato di armi obsolete, inoltre, le feroci epurazioni staliniane avevano privato l'apparato militare di oltre il 90% dei comandanti e non esisteva, quindi, un corpo ufficiali che dirigesse le operazioni. Molti di quelli rimasti sarebbero poi stati giustiziati per non aver saputo opporre resistenza all'invasore.
Dei tre Gruppi d'Armate in cui si sviluppava l'avanzata tedesca, quello settentrionale, formato da 31 divisioni al comando del maresciallo von Leeb, doveva attraversare i Paesi Baltici, e giungere a Leningrado, il simbolo dell'ideologia socialista nonché città della rivoluzione d'ottobre, che doveva essere rasa al suolo. Alla metà di luglio, il Gruppo Nord raggiunge il fiume Luga, 700Km all'interno delle steppe russe, ormai a poco più di 100 Km dall'obiettivo. In agosto, dopo una cruenta battaglia, nella quale i carri armati russi sono condotti dagli stessi operai delle fabbriche, la strada per Leningrado è aperta: le divisioni corazzate tedesche sbaragliano le linee nemiche e, con la conquista di Schlusselburg, interrompono le comunicazioni con il resto del paese. Dall'estremo nord, le truppe finlandesi del maresciallo Mannerheim giungono a circa 50 Km da Leningrado, sul confine precedentemente oltrepassato dall'Armata Rossa. Il 1º settembre 1941, le prime bombe tedesche cadono sulla città, dando inizio all'assedio, e due giorni dopo l'aviazione sgancia ordigni incendiari, distruggendo parte dei magazzini dove erano state ammassate scorte alimentari. La popolazione si trova così abbandonata a se stessa, con le difese tenute in maggioranza da operai e civili con pochi fucili da caccia e gli stessi attrezzi da scavo con i quali avevano realizzato i fossati anticarro.
L'8 settembre, la Wermacht è a soli 25Km dalla città, sulle colline Duderhof, famose per le passate offensive della Guardia dello Zar, a ridosso delle opere difensive, ma, a questo punto, l'attenzione di Hitler si focalizza sull'operazione Tifone per la conquista di Mosca, e sulle avanzate in Ucraina. Leningrado è destinata a cedere per fame.
Ventotto mesi di assedio
La antica San Pietroburgo, fondata nel 1703 da Pietro il Grande, divenuta Leningrado per decisione del Soviet Supremo nel 1924, sorge su un centinaio di isolette di varia grandezza alla foce del fiume Neva, disposte sull'istmo di Carelia, largo circa 50Km, fra il Golfo di Finlandia e il grande lago Ljagoda. La via più diretta per la città passa fra i laghi minori Ilmen e Pejpus.
Nella città, dove vivono circa 2 milioni e mezzo di persone, più la guarnigione di presidio, quella del comando della Flotta del Baltico e oltre 100mila profughi fuggiti davanti all'avanzata inarrestabile dell'esercito invasore, la legge marziale era entrata in vigore già dalla fine di luglio. I poteri di comandante della città erano esercitati dal comandante della guarnigione, generale Popov, assistito dal capo del Comitato del Partito Zdanov, e dal capo del Soviet cittadino, Popkov, tutti sottoposti al Comitato Centrale di Mosca. Il 9 settembre i Panzer tedeschi si trovano a 16Km dal centro cittadino, e le comunicazioni con l'esterno completamente interrotte. Le uniche vie di rifornimento rimanevano quelle via fiume e quelle tenute dai pochi aerei ancora in grado di volare, entrambe sempre sotto attacco nemico, mentre l'artiglieria continuava a martellare la città. Numerosi obiettivi industriali, comprese le centrali elettriche, sono colpiti nella prima settimana di settembre e, per quasi tutta la durata dell'assedio, gli attacchi degli aerei e dei cannoni tedeschi continuarono la loro azione distruttrice.
Le razioni alimentari cominciarono a scarseggiare: nella seconda metà di settembre, farina, cereali, grassi e zuccheri, carne, combustibile per mezzi di trasporto e riscaldamento e il carbone, erano sufficienti per non più di due mesi, e solo se i magazzini non fossero stati ulteriormente colpiti dai cannoni tedeschi, come avvenne a fine settembre, quando fu distrutto un deposito di 2000 tonnellate di zucchero, che fu in parte recuperato e utilizzato in caramelle e melassa solidificata dalle esplosioni. A Mosca, inoltre, non si teneva conto della popolazione assediata a Leningrado, e numerosi treni che potevano ancora offrire un valido aiuto, furono usati per trasferire materie prime al di là degli Urali o fatti convergere a sud per la difesa della capitale. Fu necessario, quindi, razionare ulteriormente le scorte a disposizione, e differenziare le razioni a seconda delle fasce di popolazione: ai soldati e ai lavoratori delle fabbriche andò la quota alimentare maggiore e, a scalare, fino agli impiegati, a donne e bambini, fino all'ultimo posto, occupato da chi non svolgeva alcuna attività e dai profughi giunti dall'esterno. Nei primi tempi dell'assedio, i responsabili della città non si dimostrarono avveduti su molte cose: ai cittadini non venne resa nota la quantità di scorte a disposizione e, piuttosto, si insisteva su argomenti di propaganda che tenessero alto il morale.
Nei mesi di ottobre e novembre, le riserve si ridussero maggiormente, il freddo era sempre più intenso e la mancanza di carburante fece scomparire i mezzi pubblici dalle strade. Ogni genere di riscaldamento elettrico fu vietato e le linee telefoniche interrotte anche all'interno della città. Il petrolio da illuminazione, già scarso, divenne introvabile, le vecchie stufe a legna, inutilizzate da tempo, furono rimesse in funzione nelle case e nelle fabbriche, e anche quando il legno cominciò a scarseggiare, venivano letteralmente smontati i solai delle abitazioni. Per la fame, comunque, non esisteva alcun rimedio. Cominciò la caccia agli animai randagi, cani, gatti, perfino topi, e i cavalli che cadevano morti dal freddo erano macellati sul posto. Non si esclude che siano avvenuti anche casi di cannibalismo. Sotto l'incessante fuoco delle batterie tedesche, isolati drappelli di uomini si recavano nelle aziende agricole fuori città alla ricerca di patate. Spesso, queste zone si trovavano anche a 50Km dal centro cittadino, sepolte dalla neve e dai ghiacci, tuttavia si riuscì ad ammassarne diverse tonnellate, che vennero poi distribuite alla popolazione. Il pane, intanto, era un ricordo già dalla fine del primo mese di assedio, per l'esaurimento delle scorte di farina, e continuò a mancare nonostante gli espedienti come segale, orzo, malto e avena sottratta ai cavalli, i quali venivano nutriti con una miscela di piante macinate, bollite insieme a torba e sale.
All'Istituto Scientifico di Leningrado, il professor Sciarkov e la sua équipe si dedicarono a esperimenti per trovare surrogati a base di cellulosa e semi di cotone, ricercando il procedimento per eliminare il raffinosio, un derivato del glucosio presente nei semi di cotone, che ha noti effetti velenosi. Si riuscì, dopo numerosi tentativi, ad utilizzare un impianto per l'idrolisi dell'alcool e, alla fine di novembre, la locale fabbrica di birra poté produrre cellulosa commestibile, ma nel frattempo, le scorte di grasso necessario a lubrificare gli stampi venne a mancare. Al suo posto si utilizzò un composto di olio di semi di girasole, sapone e acqua, ma la produzione rimase a livelli decisamente insufficienti. Intanto si organizzarono squadre composte prevalentemente da donne e bambini, per la ricerca sistematica di qualunque tipo di cibo. La città venne perlustrata in ogni angolo, in ogni cantina: si recuperò malto dalle fessure delle pareti dei mulini, e si misero insieme circa 2000 tonnellate di interiora di pecora e scarti di pesce, trovate in una fabbrica di colla. Diversi quintali di semi di lino, mischiati a olio lubrificante, furono trasformati in salsicce. Si prepararono minestre di lievito, gelatina di sapone, altri animali morti per fame o freddo furono macellati e le loro carni mischiate a polvere di cuoio, aglio, pepe, e trasformata anch'essa in salsicce. Dalle alghe marine si ricavò brodo, con la carta da tappezzeria mischiata a farina di segale e colla, si otteneva qualcosa di simile al pane. Nel frattempo, si era resa necessaria la costituzione di una forza lavoro per allestire le difese, sgombrare macerie, predisporre la sepoltura dei morti sempre più numerosi ed eliminare gli scarichi delle fognature che avevano smesso di funzionare a causa dei bombardamenti. I rifiuti umani venivano bruciati oppure raccolti e trasportati fuori dal centro cittadino, in appositi pozzi dove gelavano e non costituivano fonte di infezione.
In quest'inferno, le poche fabbriche rimaste continuavano l'attività, per la sopravvivenza della comunità assediata. Gli operai che vivevano giorno e notte all'interno di esse, si nutrivano col grasso dei cuscinetti a sfera e bevevano olio lubrificante, con le conseguenze che si possono immaginare. Ogni cittadino si dava da fare al limite delle possibilità, non tanto per volontà, quanto perché il lavoro riconosciuto dava diritto a maggiorazioni nelle razioni giornaliere. I cadaveri vengono depredati di ogni cosa, soprattutto di indumenti pesanti e tessere alimentari. La situazione dell'unico ospedale rimasto in grado di offrire una qualche assistenza era altrettanto disperata: il solo medicinale a disposizione era il bromuro di sodio, somministrato per più necessità sotto nomi diversi. Alla fine di novembre, la gente cominciò a morire per le strade: circa 11mila persone nella sola seconda metà del mese. I rifornimenti si interruppero del tutto quando i tedeschi occuparono la stazione terminale di Tivchin il 10 novembre, costringendo gli isolati convogli di scorte a fermarsi a Zaborje, ad oltre 300Km dalla città assediata, intanto, l'inverno si era fatto decisamente rigido. Il ghiaccio aveva reso gelata la superficie del lago Llagoda e le poche chiatte che ancora riuscivano ad attraversarlo dovettero rinunciare. Questo fece diminuire il flusso di scorte fino a mille tonnellate al giorno.
In città, i giornali continuavano a uscire, sebbene a cadenza irregolare, riportando le poche notizie che giungevano dall'esterno: la battaglia di Mosca era in pieno svolgimento, i più insignificanti successi militari sovietici venivano ingigantiti a dismisura, per incoraggiare la popolazione a resistere. Allo stesso modo venivano minimizzate le vittorie tedesche. A dicembre iniziarono i lavori per la costruzione della strada verso Zaborje, sulla sponda orientale del lago Llagoda, attraverso la tundra, per tentare di aprire una nuova via di rifornimento, ma a causa del tracciato estremamente tortuoso, data la necessità di evitare le zone bersagliate dalle artiglierie tedesche, la lunghezza di questa via avrebbe raggiunto i 300Km, dal primo all'ultimo scavati con attrezzi rudimentali, per la totale assenza di mezzi adeguati. Le vittime che costò la costruzione della via di ghiaccio furono senz'altro migliaia e, non di rado, i corpi venivano utilizzati come riempimento del fondo stradale. Nonostante le difficoltà, il freddo e i bombardamenti, la strada fu terminata in poco più di un mese, e inaugurata col passaggio del primo automezzo il 7 dicembre, ma certamente non degna di tale nome: la maggior parte del percorso si snoda in mezzo a muri di neve che periodicamente franano, formando nuove e più pericolose pendenze, e in molti punti non si poteva effettuare il passaggio di più di un autocarro alla volta. Nonostante gli sforzi, la strada non poteva certamente risolvere i problema del sostentamento della popolazione di Leningrado e, in definitiva, fu più un fallimento che una vittoria. Fu grazie a piccoli traghetti che si riuscì a far pervenire a Leningrado, nei mesi più duri dell'inverno 1941-42, circa 25mila tonnellate di grano, cereali e farina, 1500 tonnellate di latticini, e furono evacuate dalla città oltre 34mila persone in gravi condizioni.
La notizia che risollevò più di ogni altra lo spirito degli assediati fu un'altra: il 10 dicembre si seppe che le truppe del maresciallo Meretzkov avevano effettuato un grande contrattacco, ricacciando gli invasori sul corso del Volchov e riconquistando Tivchin. Anche se l'assedio era ancora ben lontano dalla sua conclusione, gli abitanti di Leningrado avevano ora una concerta speranza di sopravvivenza. Nuovi lavori vennero progettati, fra i quali la pista ghiacciata da Leningrado a Novaja Lagoda, sulla superficie ghiacciata del lago. Tutti gli uomini in grado di lavorare si presentarono ai posti di raccolta, si lavorò ininterrottamente, dando fondo a quelle poche scorte che i tedeschi avevano abbandonato nella precipitosa ritirata da Tivchin, e una settimana dopo, i primi autocarri operarono il congiungimento con Tivchin e si ricollegarono alla ferrovia che, nel frattempo era stata in parte riattivata. I problemi, tuttavia, non erano finiti: la pista sul lago era, in alcuni tratti, tracciata su ghiaccio pericolosamente sottile e fino alla seconda metà di dicembre non fu possibile allestire convogli di una certa consistenza. Anche nel periodo di massima resistenza, gli autocarri riuscirono a far pervenire a Leningrado non più di 100 tonnellate al giorno, contro un fabbisogno di almeno dieci volte tanto.
Intanto, la strada attraverso la foresta era stata completata e allargata, e grazie alle due vie di rifornimento, e alla ferrovia che, se pur in parte, aveva riperso al funzionare, i rifornimenti arrivavano in quantità leggermente maggiori, tanto che fu possibile, in occasione del Natale, aumentare di poco le razioni alimentari. Tuttavia, le condizioni erano sempre disperate e, nonostante la riconquista di Tivchin, lo stesso giorno di Natale, fu registrata la morte per fame di quasi 4000 persone, che portarono a 52mila le vittime accertate del solo mese di dicembre, oltre a tutte quelle che morirono senza lasciare traccia. Con il nuovo anno, i viaggi attraverso la strada sul lago Llagoda e quella nella foresta occuparono l'attenzione della popolazione stremata, in quanto uniche vie di collegamento con il mondo esterno. Si cercò di aumentare la frequenza dei viaggi, si ovviò con percorsi alternativi alle crepe aperte nel ghiaccio e alle frane, e le razioni furono aumentate di circa 50 grammi al giorno. La strada attraverso la foresta servì poi come principale itinerario per l'evacuazione: grazie ad essa la popolazione rimasta all'interno della città scese a meno di un milione e, in primavera, la situazione migliorò fino a garantire, almeno ai bambini rimasti, tre sicuri pasti al giorno. Verso marzo, però, l'intensità dei bombardamenti d'artiglieria e dell'aviazione tedesca aumentò nuovamente. Nei primi tre mesi i cannoni martellarono la città per 67 giorni consecutivi, fra aprile e giugno per altri 65 giorni e da settembre a dicembre ancora per 50 giorni. Nel solo anno 1942, Leningrado fu bombardata per 254 giorni. Fuori dalla città, intanto, l'esercito sovietico si stava preparando alla prima grande controffensiva, contro la Wermacht che, a sua volta, aveva ricevuto rinforzi per espugnare Leningrado una volta per tutte.
In agosto, l'Armata Rossa mise in atto l'operazione Sinjavino, con due attacchi convergenti dal fronte di Leningrado e da quello del Volchov, con il rinforzo delle unità navali del Baltico e della flottiglia del lago Llagoda. L'obiettivo era di respingere i tedeschi fino a Schlusselburg e Mga, per rompere l'assedio. Contemporaneamente, l'alto comando sovietico voleva impegnare il maggior numero di divisioni tedesche, per impedire il loro spostamento sul fronte meridionale. Secondo il piano Sinjavino, la 55a armata sovietica doveva attaccare verso Tosno e i reparti della Neva su Sinjavino, punto strategico dell'operazione. Altre formazioni avrebbero attaccato Uritzk per impegnare il nemico in quel settore. Il 19 agosto, il comandante fronte di Leningrado, generale Govorov, condusse le unità navali della Neva sulla riva sinistra del fiume, facendo sbarcare un contingente d'assalto nei pressi di Ivanovskoe, che dopo aver stabilito delle piccole ma solide teste di ponte, non poté procedere oltre. Sull'altro versante, sul Volchov, le divisioni tedesche 227a e 233a aspettavano l'attacco, lungo tre linee di difesa fissa con ogni abitazione trasformata in bunker. Il comandante russo del settore, generale Meretzkov, attaccò con una parte di truppe su Lipki, Gontovaja e Voronovo, e ordinò il secondo attacco simultaneo verso Sinjavino e Mga. Dopo un massiccio fuoco preparatorio delle artiglierie, il 24 agosto gli attacchi sovietici avevano spezzato il fronte tedesco e il giorno 30 le avanguardie di Meretzkov raggiunsero l'obiettivo.
Il 3 settembre, dalle teste di ponte sulla Neva fu lanciato un altro attacco, le linee tedesche nonostante l'arrivo di rinforzi, furono oltrepassate e in pochi giorni, due divisioni sovietiche riuscirono a spezzare il fronte della Neva, con il supporto delle unità navali, arrivando ad allargare la breccia il 26 settembre. Intorno a Sinjavino la battaglia era ben lontana dalla conclusione e, nonostante i progressi dell'esercito russo, l'assedio di Leningrado non fu rotto. All'inizio di ottobre il comando supremo di Mosca decise di ritirare le truppe per costituire una forza arretrata in grado, dopo opportuni cambiamenti, di ribaltare la situazione con l'arrivo del nuovo inverno. Il colpo inferto all'esercito tedesco, tuttavia, non era stato leggero: nelle file della Wermacht erano morti oltre 60mila uomini, distrutti oltre 200 mezzi corazzati e altrettanti cannoni, abbattuti 260 aerei. Il Gruppo d'Armate Nord non si sarebbe più ripreso e, nonostante la mancata liberazione, era ormai certo che Leningrado non sarebbe più stata conquistata. Il merito fu di un ufficiale chiamato da Stalin al comando del Fronte Settentrionale, quando la situazione era al suo punto più critico: l'imbattuto maresciallo Zukov.
Nel gennaio 1943, le autorità di Leningrado cominciarono a prendere in considerazione l'ipotesi che i tedeschi potessero riconquistare Tivchin, e si affrettarono a diramare l'ordinanza che prevedeva un addestramento militare minimo di 110 ore per quella parte della popolazione non strettamente necessaria alla sopravvivenza della città, quindi l'arruolamento nella milizia. In effetti, Leningrado ora riceveva scorte decisamente più cospicue rispetto al primo anno di assedio ma, pur essendo considerata una fortezza, era tutt'altro che imprendibile. Il collegamento ferroviario con l'interno del paese assicurò per il resto dell'anno un flusso più o meno continuo di rifornimenti, e cominciavano anche le ricostruzioni delle zone più colpite, ma le bombe tedesche cadevano ancora e le squadre di pompieri, sempre più assottigliate, non garantivano la copertura di tutta l'area metropolitana. Il corridoio stradale, nel frattempo, continuava a essere la via più sicura per ricevere approvvigionamenti ed evacuare la popolazione, anch'esso sempre sotto tiro dell'aviazione tedesca e dei cannoni della Wermacht, che resisteva tenacemente lungo gli schieramenti difensivi denominati linea Panther, profonda fino a 250Km, con fortificazioni lungo il fiume Narva, il lago Pejpus e le città di Pskov, Ostrov e Novgorod.
Nel dicembre 1943 il comando supremo di Mosca varò l'offensiva che avrebbe finalmente liberato Leningrado, affidata al maresciallo Zukov, al generale Govorov come comandante del Fronte Leningrado, al maresciallo Meretzkov del Fronte Volchov, e al maresciallo Voroshilov in qualità di coordinatore degli attacchi che dovevano svolgersi simultaneamente. Il Gruppo d'Armate Nord tedesco, ora comandato dall'energico feldmaresciallo von Kuchler, era ancora una forza considerevole, con le armate 16ª e 18ª, quest'ultima ancora pericolosamente vicina a Leningrado con 170mila uomini, 4500 cannoni e più di 200 carri armati. Per affrontarlo, l'esercito sovietico raccolse circa 375mila uomini, quasi 15mila cannoni e 1200 carri armati sulla direttrice principale della controffensiva, con un supporto aereo sei volte superiore a quello della Luftwaffe. Il piano sovietico stabiliva l'attacco del Fronte Leningrado dalle basi di raccolta intorno a Orianenbaum, con la 2ª armata verso Pulkovo e la 42a verso Ropscja, quindi le due unità congiunte sarebbero avanzate su Kingsiepp e Krasnogvardejsk. Nel frattempo, la 67a armata doveva puntare di Mga; il Fronte Volchov avrebbe attaccato con la 59a armata per accerchiare le truppe nemiche intorno a Novgorod e tagliare ogni possibile via di ripiegamento al nemico fino a Pskov. Le altre due armate, 8ª e 54ª, dovevano attaccare Tosno, Ljuban e Cjudovo per annientare le sacche di resistenza a Novgorod. Un altro attacco era previsto per il 2º Fronte del Baltico verso Opocka e Sebez con l'appoggio della Flotta Navale, quindi, circa 30mila uomini della Resistenza avrebbero agito, secondo precisi ordini, nelle retrovie nemiche per tagliare tutti i collegamenti e liberare la città di Luga.
Il 13 gennaio 1944, dopo un impressionante fuoco di artiglieria, con oltre 100mila proiettili sul solo fronte della 2ª armata (la prima a partire) ha inizio l'attacco. Alla sera del terzo giorno, il fronte tedesco è sfondato per una profondità di circa 10Km e una larghezza di 25. Il 15 gennaio, sotto la protezione di 250mila proiettili di cannoni, parte la 42a armata, poi le altre unità d'assalto. La battaglia fu particolarmente violenta nei pressi di Voronja Gora, dove i tedeschi avevano una delle zone maggiormente fortificate, ma il 20 gennaio le avanguardie sovietiche operarono il congiungimento a ovest di Ropscja, completando l'accerchiamento, annientando completamente due divisioni tedesche e riducendone altre cinque in condizioni disastrose. Il sesto giorno di battaglia le truppe del Fronte Leningrado avanzarono fino a 40Km oltre Voronja Gora e l'esercito tedesco fu definitivamente allontanato dalla città assediata, mentre le punte corazzate del Fronte Volchov sfondarono le linee di Novgorod, liberata il 20 gennaio, e oltrepassarono il lago Ijlmen. La Wermacht fu ricacciata verso ovest, a 80Km da Novgorod e oltre 100Km da Leningrado e il 29 gennaio, dopo sei settimane ininterrotte di combattimenti, con la conquista del nodo ferroviario di Cjudovo, e l'annientamento di altre cinque divisioni tedesche, furono riaperti i collegamenti diretti con Mosca.
Nel corso dell'estate '44 furono ricacciati oltre i confini settentrionali della Carelia anche i reparti finlandesi, decretando ufficialmente la fine dell'assedio di Leningrado, dopo 900 giorni e circa un milione di vittime. La popolazione si riversò per le strade senza la preoccupazione delle bombe, per festeggiare la liberazione, furono organizzati spettacoli pirotecnici e iniziarono e celebrazioni della vittoria. Il capo Comitato Politico della città, Zdanov, fu acclamato salvatore di Leningrado, fino al 1949, quando morì in circostanze misteriose, probabilmente per essersi opposto in più occasioni, alle scelte politiche di Stalin anche durante i difficili giorni dell'assedio. Alla fine della guerra, la città degli Zar fu ricostruita, compresi i quasi 20mila edifici abbattuti dagli stessi cittadini per necessità di sopravvivenza. Un anno dopo la liberazione, per ordine del Soviet Supremo, la città fu insignita dell'Ordine di Lenin, il più prestigioso riconoscimento dell'Unione Sovietica.
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