In questo articolo vorrei analizzare il sistema ideologico comunista nella sua accezione più fondante ovvero quella economica. Enuncio i tanti motivi per cui la teoria economica comunista sia intrinsecamente fallimentare rifacendomi ad uno dei suoi più grandi critici: Von Bohm-Bawerk. Partiamo con il capire come si struttura la tesi comunista enunciata ne "il capitale".
Per costruire il concetto di valore, Marx, analizza inizialmente le merci, intese come i prodotti del lavoro immessi poi nel mercato.
Gli elementi che caratterizzano maggiormente le merci sono: il valore d’uso e di scambio. Il valore d’uso della merce, è basata sulle qualità proprie della merce stessa, la quale è, da quelle sue qualità, destinata a soddisfare il tale, e non il tal altro bisogno. Il valore di scambio si mostra dapprima come il rapporto quantitativo, come la proporzione nella quale valori d’uso di un tipo si scambiano con valori d’uso d’altro tipo, e tale rapporto muta in continuazione con i tempi e coi luoghi.
Ma la base sulla quale Marx costruisce il concetto di valore di scambio è il lavoro umano richiesto per la produzione. Su questi fondamenti teorici, Marx, costruisce la sua dottrina del plus-valore.
I capitalisti, afferma Marx, investono il loro denaro per ottenere delle merci, le quali, una volta vendute ad una somma superiore rispetto al costo di produzione, danno vita al plus-valore.
Passaggio fondamentale della dottrina marxista è il seguente: il capitalista ottiene il plus-valore grazie al plus-lavoro. Il plus-valore è una conseguenza del fatto che il capitalista non retribuisce una parte della giornata lavorativa dell’operaio, ottenendo così un guadagno dal cosiddetto plus-lavoro. Infatti la giornata lavorativa di un operaio si può dividere in due parti: nella prima parte il lavoratore produce i suoi mezzi di sussistenza e riceve per tal motivo un equivalente in denaro, mentre la seconda parte della giornata lavorativa vede come protagonista il capitalista che sfrutta l’operaio non retribuendolo. Quindi, il plus-valore è per sua natura la materializzazione di tempo di lavoro non pagato.
Continuando, Marx, sottolinea il fatto che un limite invalicabile della giornata lavorativa è la sua finitezza, in quanto è naturale che un operaio lavori meno delle 24 ore giornaliere.
Il capitalista secondo la concezione marxiana è un uomo interessato esclusivamente al “sopralavoro”. Questo ha due limiti: il limite naturale e quindi non superabile per qualsiasi essere umano, e il limite artificiale, cioè la fine del lavoro necessario. Per quanto riguarda il plusvalore relativo si può dire che esso si fonda sulla diminuzione del lavoro necessario, mentre quest’ultimo si materializza sulla diminuzione del salario, e il salario si fonda a sua volta sulla riduzione del prezzo delle cose che sono indispensabili per l’operato del l’operaio.
Proseguendo, nel sistema marxiano un punto di grande importanza sono le determinazioni di grandezza di capitale.
Il capitale secondo Marx può essere considerato costante e variabile.
Il primo è il capitale investito nei mezzi di lavoro, quindi i macchinari necessari per la realizzazione di un bene che sono soggetti a logoramento (il quale è proporzionale al suo utilizzo), mentre il secondo è il capitale investito nella forza lavoro.
L’operaio grazie alla sua forza lavoro ottiene un salario e nello stesso tempo produce un bene e di conseguenza, un plusvalore a favore del capitalista.
Marx parla di composizione organica dei capitali, che per motivi prettamente tecnici sono differenti nelle varie sfere di produzione
Inoltre asserisce che il capitalista calcola il plusvalore non soltanto sulla parte variabile del capitale ma sull’intero capitale da lui investito.
Quindi collegando adesso il concetto della composizione organica dei rami di produzione con la teoria del saggio del plusvalore, Marx afferma nella sua teoria del saggio medio del profitto, che capitali di eguale grandezza ma di differente composizione organica producono effetti diversi.
Maggiore è il capitale variabile, maggiore sarà il plusvalore.
Böhm Bawerk, però, sottolinea il fatto che nel mondo reale vige la legge secondo la quale capitali di eguale grandezza, a prescindere dalla loro composizione organica danno identici profitti. Il divario tra le due concezione è lapalissianamente evidente.
Böhm-Bawerk sostiene che la differenza tra i saggi medi del profitto fra i diversi rami dell’industria non esiste, e non può esistere senza annullare tutto il sistema della produzione capitalista. La teoria del valore, secondo l’autore viennese, è incompatibile con l’economia reale.
Böhm-Bawerk continua: <<..la teoria del saggio medio del profitto e dei prezzi di produzione non si concilia con la teoria del valore.>>
Marx affermò che tutto il valore si basa sul lavoro e di conseguenza le merci si sarebbero scambiate in base al lavoro necessario per la loro realizzazione. Nel terzo volume però, egli spiega come le singole merci si scambiano reciprocamente senza avere una eguale quantità di lavoro necessario per la loro produzione.
La contraddizione che vi è tra il primo e il terzo volume è palese.
Marx però aveva previsto che la sua soluzione sarebbe stata oggetto di attacchi, ed è per questo che realizza una vera e propria autodifesa consistente nel fatto che, nonostante i rapporti di scambio siano guidati dai prezzi di produzione che sono diversi dai valori, il tutto si muove nell’ambito della legge del valore la quale “in ultima istanza” domina i prezzi. Adesso Böhm-Bawerk confuta il cosiddetto sistema marxiano dividendolo in quattro argomenti.
Il primo argomento riguarda l’idea secondo la quale le singole merci, a prescindere che nel processo riguardante la loro realizzazione vi sia stato il contributo di un capitale costante con quota superiore o inferiore alla media, si scambiano tra loro o al di sopra o al di sotto del loro valore. Marx, dice Böhm-Bawerk, dopo aver ammesso che il prezzo effettivo delle merci sia diverso dal loro valore, osserva che tale divergenza è riconducibile solo ai prezzi che riguardano le singole merci; mentre scompare, quando si prende in considerazione la somma di tutte le singole merci, il prodotto nazionale annuo. Quindi la legge del valore,
ipotizza Böhm-Bawerk, avrebbe il semplice compito di chiarire il rapporto di scambio delle merci. Le differenze di prezzo si annullano nella somma complessiva. Come si può ben vedere, Marx, pur di salvare la legge del valore ha adottato delle queste ipotesi ad hoc, comportandosi così, in maniera antiscientifica.
Passiamo adesso al secondo argomento. Marx ritiene che legge del valore domina il movimento dei prezzi. Tale dominio si materializza nel momento in cui si ha una riduzione del tempo di lavoro utile per la realizzazione delle merci, e ciò comporterebbe una caduta dei prezzi. L’errore risiede nel fatto che Marx, tramite la sua legge del valore, voglia affermare che il lavoro è il solo fattore che determina i rapporti di scambio delle merci, senza considerare minimamente le eventuali oscillazioni della domanda e dell’offerta. Questi ultimi sono motivi di particolare importanza, in quanto, insieme alle loro oscillazioni, sono determinanti nello sviluppo delle vendite e degli acquisti di beni all’interno di una società.
Il terzo argomento riguarda sempre la legge del valore. Secondo Marx essa domina lo scambio delle merci in certi stadi primitivi, nei quali non è ancora avvenuta la trasformazione dei valori in prezzi di produzione. Facendo una attenta lettura delle pagine del III capitolo de “Il Capitale” potremmo accorgerci che in realtà Marx, non fa altro che ipotizzare e supporre. Di conseguenza, se tali conclusioni si basano solo su ipotesi,e non su ricerche scientifiche e quindi su fatti, dati,verifiche, tutti noi siamo liberi di esercitare un nostro libero giudizio.
Quarto e ultimo argomento. Marx ritiene che i prezzi di produzione dominino la formazione dei prezzi. I primi però sono sottoposti all’influenza della legge del valore, e questa in maniera consequenziale domina gli effetti del rapporto di scambio. Böhm-Bawerk riesce a confutare tali concetti. Marx afferma che il profitto medio determina i prezzi di produzione, e questo si accumula mediante la produzione di una merce ed è l’unica causa del prezzo di produzione della merce stessa. Pensa di poter sviluppare un percorso partendo da un unico fatto, il quale condurrà gli eventi lungo un solo binario. In realtà il profitto medio è solo una delle cause che determina la produzione di una merce, un’altra causa sarebbero i salari pagati. Il profitto medio è una causa determinante del prezzo di produzione, ma non l’unica. Anche i salari sono una componente importante.
Concludendo, Marx ha realizzato non una ma due teorie del valore, una nel Libro I e l’altra nel libro III, descritte nel Il Capitale. Il sistema marxiano, per vie delle sue contraddizioni interne ci dice Böhm-Bawerk, è crollato inesorabilmente su se stesso.
La teoria del valore lavoro è stata ripresa e sviluppata dai socialisti neoclassici che udite udite non fanno altro che rafforzare l'inutilità degli studi di Marx perchè privi di valenza scientifica e di metodo. Dmitriev calcolò i valori di scambio ignorando completamente i valori-lavoro, ma esprimendole nei termini delle quantità di lavoro investite e capitalizzate nelle epoche precedenti per produrre i beni salario consumati dai lavoratori. Dimostrò che ciò che rendeva possibili la trasformazione dei valori in prezzi la rende anche inutile; i prezzi di produzione infatti possono essere conosciuti senza conoscere i lavori contenuti nelle merci, cosicchè la teoria del valore-lavoro assume un ruolo marginale. Von Charasoff fa ancora meglio nel sottolineare l'inutilità della teoria amrxista. Iterò il processo di trasformazione ad n merci convergendo verso la soluzione dei prezzi di produzione e non del lavoro impiegato. In questo modo emerge l'inessenzialità della teoria del valore-lavoro. Infatti il processo iterativo di trasformazione può essere fatto partire da un qualunque vettore di prezzi, cosicchè il vettore del valore-lavoro risulta svolgere il semplice ruolo di un arbitrario vettore di valori di scambio errati. Il fatto che la teoria marxista sia antiscientifica nel metodo e sia contraddittoria al suo interno oltre che carente nell'analisi per mancanza di strumenti matematici ed economici è una palese evidenza della sua inutilità e mancanza di valore assoluto. Come può un'ideologia che si basa su tale teoria acquisire autorevolezza?
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