lunedì 28 luglio 2014

1942: La battaglia di El Alamein


Gli opposti schieramenti nella zona di El Alamein. Su questo fronte desertico, che si estendeva per circa 80 chilometri dal mare all'invalicabile depressione di El Quattara, si svolse fra l'agosto e il novembre del 1942 la lotta decisiva fra gli eserciti italo-tedeschi e quelli dell'Impero britannico. Le armate di Rommel e di Bastico tentarono dapprima, nello agosto, di sfondare le linee sulle quali i britannici si erano attestati dopo la precipitosa ritirata dalla Cirenaica. Poi, alla fine d'ottobre, gli inglesi passarono all'offensiva, gettando nella lotta il peso di tutta la loro crescente forza militare. Infatti, mentre il corpo di spedizione italo-tedesco in Africa settentrionale veniva rifornito a fatica, con gravi perdite, dai pochi convogli che riuscivano a superare il blocco aero-navale, gli inglesi avevano potuto richiamare nel Delta del Nilo masse imponenti di uomini e di mezzi sia dal territorio metropolitano, sia dal Medio Oriente, dall'India, dal Sud Africa, dall'Australia: da tutte le parti del Commonwealth, insomma. Al loro fianco erano poi anche reparti francesi, polacchi, greci e aliquote dell'aviazione americana con i nuovissimi quadrimotori « Liberators ». Data la sproporzione di forze, la battaglia non poteva avere che un esito sfortunato per l'Asse. Ma per raggiungere la vittoria le forze britanniche, che erano comandate dal Generale Montgomery, dovettero lottare lungamente e duramente, contrastate passo passo da alcune tra le più belle divisioni della storia militare italiana delle Campagne d'Africa e dai panzer del generale Rommel, la « Volpe del deserto ».


LA BATTAGLIA DI EL ALAMEIN

Alla fine di agosto del 1942 il maresciallo Rommel, comandante delle truppe italo-tedesche dell'Africa settentrionale, tentò, lanciando una grande offensiva contro le posizioni britanniche di El Alamein, il colpo che aveva mancato pochi mesi prima quando era giunto su quelle fatali posizioni con un pugno di uomini e qualche carro armato inseguendo il nemico in ritirata. Rommel era consapevole che questa sarebbe stata, quasi certamente, l'ultima buona occasione che il destino gli offriva. Conosceva infatti il progressivo potenziamento dell'armata britannica, rinforzata da numerosi reparti affluiti nel Delta del Nilo da ogni parte dell'Impero ed attestata su formidabili posizioni difensive. L'offensiva iniziata il 30 agosto quindi si basava sostanzialmente sull'elemento sorpresa e sulla speranza che le qualità manovriere della nostra armata corazzata avrebbero potuto sopraffare l'avversario malgrado la situazione obiettivamente difficile. Purtroppo il calcolo si dimostrò errato. Nelle precedenti campagne Rommel aveva operato su terreno libero, manovrando i suoi carri in azioni a vasto raggio. Ad El Alamein dovette invece agire su un fronte ristretto, limitato a nord dal mare e a sud dalla invalicabile depressione di El Quattara, e non ebbe quindi la possibilità di manovrare sui fianchi, secondo la sua tattica preferita. Con una conversione a nord, tuttavia, Rommel tentò di tagliare fuori l'ala settentrionale dello schieramento nemico. La manovra, di brillante ed originale ideazione, falli per tre fattori diversi: 1) l'esistenza di estesissimi campi di mine, predisposti dagli inglesi, i quali costrinsero le truppe corazzate a lunghe soste e ritardarono la conversione a nord, dando al nemico la possibilità di far affluire notevoli riserve; 2) la schiacciante superiorità aerea nemica, che inflisse alle truppe avanzanti gravi perdite (morirono nell'azione ben tre generali: Niccolini, comandante del « XX Corpo », Nehring, comandante del Corpo corazzato tedesco e Bismarck, comandante di una divisione corazzata); 3) il consumo di nafta, superiore di tre volte a quello previsto. Quest'ultimo fattore, secondo Rommel, fu quello decisivo. Infatti, proprio nel vivo dell'azione, giunse al nostro comando la notizia che i piroscafi con i rifornimenti idi nafta per le truppe operanti erano stati criminosamente segnalati, e affondati e che i depositi dell'Africa settentrionale non erano in grado di alimentare la battaglia. Pochi giorni dopo la cessazione dell'offensiva italo-tedesca, passarono all'attacco gli inglesi. La prima azione fu di limitate proporzioni ma di grande importanza strategica: un'operazione di « commandos » contro Tobruk, nell'intento di distruggere le installazioni del porto, il quale era allora la nostra principale base di rifornimento. La manovra falli, grazie all'eroica reazione delle truppe del presidio e principalmente del battaglione « San Marco », ma fu ugualmente il preludio ad un'azione ben più vasta, che si scatenò a poco più di un mese di distanza: l'offensiva generale britannica ad El Alamein. L'attacco ebbe inizio la sera del 23 ottobre 1942. Il momento era ben scelto. Gli inglesi sapevano infatti che le nostre truppe erano in crisi, per le crescenti difficoltà dei trasporti marittimi, e che ben difficilmente avrebbero potuto avere rinforzi dai tedeschi, i quali erano impegnati con tutta la loro aviazione e con imponenti forze corazzate nella battaglia per la conquista di Stalingrado. Per colmo di sventura, poi, Rommel era in Germania e il gen. Stumme, suo sostituto, era stato ucciso nelle prime ore della battaglia. Questa superiorità si rivelò subito, quando bocche da fuoco di tutti i calibri, schierate su appena 12 chilometri di fronte, rovesciarono sulle nostre linee un uragano di fuoco senza precedenti. Dopo questo bombardamento, dai micidiali effetti distruttivi, gli inglesi passarono all'attacco con una tattica nuova per l'Africa ma copiata dalle battaglie della prima guerra mondiale. Niente azioni in profondità di unità carriste. Niente rapidi movimenti aggiranti, in una fitta rete di schermaglie, di attacchi e di contrattacchi. Le truppe britanniche, rinforzate da elementi tratti da ogni angolo dell'Impero (australiani, sud-africani, indiani) e da due brigate francesi e greche, andarono all'attacco delle nostre linee, logorando sistematicamente una ad una le posizioni italo - tedesche, mentre il fuoco delle artiglierie non soltanto impediva ogni accenno di contrattacco da parte nostra, ma provocava anche paurose distruzioni. Quando questa prima ondata di attacco, che aveva lo scopo di fiaccare ogni possibilità di resistenza dei nostri caposaldi, aveva raggiunto i risultati prefissi, entravano in azione nuove formazioni composte, questa volta, quasi esclusivamente di carri: quattro o cinquecento alla volta. Non poteva esserci, da parte nostra, alcuna possibilità di resistere ad una simile potenza. Tuttavia, dal 23 ottobre al 4 novembre, malgrado la apertura di una pericolosa breccia nel Settore ceritrale del fronte, le nostre truppe ressero magnificamente alla prova. Il 2 novembre, anzi, con il sacrificio, pressoché totale dei reparti corazzati italo-tedeschi, Rommel riuscì a ridurre ad appena due chilometri la penetrazione avversaria. A questo risultato, superiore ad ogni speranza, cooperarono magnificamente le divisioni attestate nel settore meridionale del fronte (in primo luogo quella meravigliosa unità che era la divisione paracadutista « Folgore ») le quali avevano respinto sulle prime linee ogni attacco, distruggendo circa trecento carri armati nemici. Ma la sproporzione delle forze in campo era troppo forte. Ai duemila e più carri armati nemici noi potevamo opporre, al sesto giorno di combattimento, non più di 70 carri tedeschi e di 260 carri italiani. Perciò, malgrado i miracoli di eroismo di quasi tutte le divisioni schierate nella stretta di El Alamein, Rommel (che aveva dovuto con amarezza constatare come lo sfondamento fosse stato operato proprio in un settore tenuto da truppe tedesche) decise il 4 novembre la ritirata. Era però troppo tardi: dalla breccia operata nel nostro schieramento i carri armati britannici dilagavano già verso il mare, ripetendo con successo la manovra tentata, due mesi prima, dagli italo-tedeschi. La battaglia era persa e con la ritirata cominciava la tragedia del nostro corpo di spedizione in Africa. Tuttavia, malgrado l'esito sfortunato della lotta, il popolo italiano può ricordare El Alamein con giustificato orgoglio. Su quel pezzo di deserto, infatti, la nostra gioventù scrisse pagine di sovrumano valore, cedendo solo alla potenza infinita del numero. Ne fanno fede i morti della « Folgore », distrutta ma non vinta e i carri dell'Ariete che, lanciati nell'ultimo disperato contrattacco, scomparvero nel fumo della battaglia circonfusi da una luce di leggenda.



Agosto 1942. Mussolini appunta un'alta decorazione al valor militare sul petto di uno dei piloti dell'Arma Azzurra che avevano partecipato ad una eccezionale impresa: il collegamento aereo fra l'Italia e il Giappone. Volando per migliaia di chilometri, in massima parte sul territorio nemico, i nostri aviatori erano riusciti, un anno prima, a raggiungere i territori asiatici controllati dall'alleato nipponico e di qui a portarsi fino a Tokio, accolti dall'entusiasmo e dall'ammirazione di quelle popolazioni. L'eccezionale raid aveva soprattutto un significato morale e propagandistico: voleva dimostrare che il Tripartito combatteva unito contro lo stesso nemico, malgrado l'immensa distanza che divideva i tre stati della coalizione totalitaria. Al raid aereo fecero seguito i viaggi di alcuni sommergibili oceanici di base a Bordeaux, i quali portarono in Giappone strumenti di alta precisione e tornarono con un carico di metalli pregiati, di gomma e di materie prime indispensabili, ormai
 introvabili in Europa.
Estate 1942. Alcune navi ospedale italiane, reduci dall'Africa Orientale, negli scali del porto di Genova. Dopo lunghe trattative effettuate per il tramite della Croce Rossa Internazionale, il Governo italiano aveva ottenuto dagli inglesi di poter rimpatriare dall'Impero un certo numero di donne, di bambini e di ammalati. L'Italia voleva così risolvere nell'unico modo possibile il problema rappresentato dalla popolazione civile dell'Africa Orientale la quale dopo l'occupazione inglese, era stata in gran parte deportata ed aveva, dovuto subire penose traversie, rese più gravi dal rigido e spesso inumano comportamento delle autorità di occupazione. Le nostre navi ospedale, effettuata la circum-navigazione dell'Africa, imbarcarono i civili a Massaua e quindi rifecero il viaggio in senso inverso. Durante il lungo percorso si rifornirono, secondo i patti, da petroliere appositamente allestite e furono costantemente sotto il controllo di navi e di aerei nemici. Lo sbarco delle famiglie dei colonizzatori africani suscitò vivissima commozione in Italia. Molta impressione destarono le testimonianze sulla brutalità britannica, verso i nostri connazionali.

Il dramma dei convogli


Malgrado i grandi successi ottenuti sul mare nelle battaglie di mezzo luglio e di mezzo agosto, durante l'estate del 1942 la nostra marina mercantile, impegnata nei rifornimenti alle truppe operanti in Libia, subì gravissime falcidie. Le perdite furono particolarmente sensibili in agosto e in settembre, periodo nel quale furono affondati ad opera degli aero-siluranti dei sommergibili britannici numerosi piroscafi carichi di armi, munizioni e carburanti destinati alle truppe di El Alamein. Poi, nei mesi successivi, le perdite continuarono ad aumentare, fino a quando, nello ottobre, non vi fu praticamente un solo convoglio a giungere intatto sulla sponda Africana. Questo aggravarsi della situazione era dovuto al potenziamento della base aero-navale di Malta ad opera dell'avversario il quale vi aveva fatto affluire diecine e diecine di aerei ed aveva iniziato, da quella centralissima posizione, una serie ininterrotta di attacchi al nostro traffico mercantile. L'aviazione italo-tedesca, che nei mesi precedenti aveva ridotto quasi al silenzio l'isola, cercò di ripetere l'impresa ma non aveva forze sufficienti per ottenere risultati soddisfacenti. Le gravissime perdite subite nei primi attacchi (70 apparecchi su 150 furono abbattuti in un solo giorno dalla difesa britannica) la costrinsero ben presto a desistere e a limitarsi alla difesa ravvicinata dei convogli, ma con scarso costrutto. Non ebbe migliori risultati nemmeno il dirottamento di gran parte del traffico verso i porti dello Jonio e dell'Egeo, dai quali i convogli, sotto la protezione delle navie degli aerei dislocati a Creta, venivano avviati a Tobruk. Anche quella rotta, infatti, poteva essere facilmente intercettata dagli aerei britannici di base a Malta. Del resto i nostri comandi navali avevano ben poca libertà di scelta. Come si dimostra nella cartina i convogli per l'Africa Settentronale potevano seguire solo tre rotte obbligate, tutte nel raggio d'azione dell'aviazione nemica. Riusciva quindi facile ai britannici (anche con l'aiuto di un ben organizzato servizio di sabotaggio in Italia) conoscere l'entità, la rotta e la posizione dei nostri convogli. In basso un convoglio italo-tedesco, in navigazione.



Agosto fu un mese terribile, per la nostra marina mercantile, già falcidiata da due anni di guerra (ed anche dalla perdita secca subita all'inizio del conflitto, quando i milione e 300 mila tonnellate di naviglio erano rimaste bloccate in porti neutrali o nemici). Infatti, in previsione di una grande offensiva di Rommel verso Alessandria, i britannici intensificarono i loro attacchi contro i convogli, allo scopo di tagliare all'avversario l'unica e già insicura via di rifornimento, Particolare accanimento dimostrarono i britannici contro le petroliere, che trasportavano il carburante indispensabile all'armata corazzata italo-tedesca. Il comando inglese sapeva che le riserve in Africa Settentrionale erano ridotte al minimo e che il mancato arrivo di qualche petroliera ci avrebbe messi automaticamente in crisi. Nelle due foto in alto uno sciame di aerosiluranti britannici « Bristol Beaufighter » si avventa contro un convoglio italiano in navigazione a sud di Creta. Nella foto di centro è visibile il siluro sganciato a distanza ravvicinata. Nella foto in basso il risultato dell'attacco: un piroscafo carico di munizioni, centrato in pieno affonda nei pressi della costa.



Le nostre perdite alla fine d'agosto erano gravi. Il 21 era stato affondato il Posariga; il 27 aveva subito la stessa fine il Camperio; il giorno dopo erano affondati l'Istria e il Dielpi. Poi, il 30 agosto, proprio nel momento in cui (senza avere notizia del disastro) Rommel decideva di iniziare l'offensiva, era andato a fondo il a S. Andrea, con un prezioso carico di benzina. Il primo settembre, infine, era stata la volta della petroliera a Passio che però, dopo molti sforzi, aveva potuto essere rimorchiata. Si perdeva però, per abbandono da parte dell'equipaggio, il piroscafo a Abruzzi. La nostra marina mercantile non era assolutamente in grado di reggere ad un simile ritmo di affondamenti. Dopo aver tentato ogni via possibile, il nostro comando fu quindi costretto, per non compromettere le poche navi disponibili in un'operazione senza speranza, a ricorrere al ripiego di sommergibili rifornitori e ad istituire un ponte aereo fra la Sicilia, la Grecia e l'Africa. Mai materiali cosi trasportati erano evidentemente insufficienti ai fabbisogni di un grande esercito motorizzato. L'armata africana, già in crisi per le difficoltà obiettive dell'ambiente in cui operava e per l'aumentato potenziale bellico nemico, fu quindi uno sfruttamento totale del successo iniziale. Nella foto in alto a sinistra l'apocalittica visione di un bombardamento notturno degli inglesi contro le navi di un convoglio appena arrivato a Tobruk. Nella foto in alto a destra una Medaglia d'Oro della Marina Mercantile, il Capitano Zotti, che in comando su un trasporto di munizioni in navigazione verso l'Africa Settentrionale, attaccato di notte da unità di supercfice britanniche, aveva posto in salvo l'equipaggio prima di sacrificare la propria vita affondando insieme alla sua unità, esplosa in seguito all'incendio del prezioso carico. Nella foto in basso una aerea di fonte britannica del piroscafo « Larici », incendiato dai bombardieri di Malta. Portava un carico di nafta per i panzer di Rommel.

L'offensiva Italo-tedesca


30 Agosto 1942. Rommel, dopo aver rinforzato con la « Folgore », la « Pistoia » e la « 164a » tedesca il proprio schieramento, inizia l'offensiva contro i britannici. La « Volpe del deserto » tenta così, sia pure con effettivi di gran lunga inferiori a quelli nemici, un colpo decisivo verso Alessandria e il Delta del Nilo. Egli si affida, come sempre, alla manovra dopo una breve ma intensa preparazione d'artiglieria, l'ala destra deve schierarsi con fronte a nord per attaccare sul fianco il nemico dalla cresta di Ruweisat alla depressione di El Quattara. Questo deve essere il preludio ad un'azione più vasta, tendente prima ad isolare e poi a distruggere il nerbo delle forze corazzate e delle artiglierie nemiche. E'' previsto, a sfondamento avvenuto, uno sfruttamento totale del successo iniziale. Nella foto in alto batterie italiane aprono il fuoco contro gli inglesi. In basso un nutrito concentramento di artiglieria fotografato da un osservatorio italiano, martella pesantemente le posizioni britanniche di El Alamein.


Il computo delle forze in campo dà una notevole superiorità quantitativa e qualitativa a favore dei britannici. All'ala sinistra, di fronte alle quattro divisioni italo-tedesche « 184a »; « Trento», « Bologna » e « Brescia», sono la «9a» australiana, la «12a»-sud-africana, la «5a» indiana e la «9a» sud-africana. All'ala destra, cioè nel settore interessato dall'attacco, fronteggiano le forze di Rommel (la « Folgore » in copertura, e la «Littorio », l'« Ariete », la « 21a » e la « 15a » tedesca oltre alla motorizzata « Trieste » quale massa d'attacco) due divisioni corazzate indiane, una brigata corazzata inglese e una divisione leggera. Gli inglesi possono contare, oltre che sulla superiorità numerica in fatto di carri (ottocento contro cinquecento dell'Asse), anche su una netta superiorità aerea: duemila aerei di tipo modernissimo contro i seicento italo-tedeschi. Essi sono poi attestati su posizioni fortificate, in parte predisposte da lungo tempo e in parte edificate negli ultimi mesi. Primo ostacolo di fronte al quale gli italo-tedeschi si scontrano è costituito dagli estesi campi minati che coprono le linee britanniche. Malgrado l'abnegazione dei genieri e dei guastatori l'offensiva deve rallentare il suo ritmo per attendere che il terreno sia bonificato dalle mine. Nella foto in alto un gruppo di semoventi italiani della « Ariete» fermi su terreno scoperto in attesa dello sgombero di un campo minato. In basso l'avanzata dei semoventi prosegue malgrado la reazione nemica e gli attacchi aerei


Seconda battaglia di El Alamein : sull'ala destra italo-tedesca si scatena, durante il suo movimento offensivo, l'aviazione britannica. E' un continuo, micidiale carosello, alimentato continuamente dai vicini campi del la zona del Nilo. Per evitare una completa paralisi dell'armata corazzata, l'aviazione dell'Africa settentrionale, con l'appoggio anche di quella dislocata a Creta, si impegna a fondo contro le superiori forze nemiche. Si accendono così, nel cielo di El Alamein, furibonde battaglie aeree fra la caccia italo-tedesca e quella britannica, che vola a protezione dei bombardieri. In alto un bombardiere britannico abbattuto da un C.R. 42. In basso uno «Spitfire» si schianta al suolo colpito da un caccia italiano.


Visto il ritardo con cui s'erano attuati, a causa degli sbarramenti di mine, i primi movimenti delle sue truppe, Rommel è sul punto di sospendere l'offensiva. Ma poi, valutata meglio la situazione, il maresciallo decide di insistere nello sforzo. Così, la sera del 31 agosto, sia pure con 24 ore di ritardo sul previsto, le divisioni corazzate italo-tedesche fanno fronte a nord minacciando il fianco dello schieramento nemico. Contrariamente al previsto, la resistenza britannica è debole e, mentre sul fronte a mare gli australiani e gli indiani s'impegnano in uno sterile tentativo di controffensiva, la « 7a » divisione corazzata britannica, invece di accettare battaglia, si ritira verso est, lasciando via libera a Rommel. Sembra che ancora una volta il genio militare di questo grande soldato abbia avuto ragione del nemico. Ma purtroppo, dopo i campi minati, un nuovo ostacolo rallenta l'avanzata: il terreno sabbioso che rallenta la marcia dei « panzer » e impone un consumo di nafta triplo di quello previsto. Nella foto in alto l'avanzata della « 21a » divisione tedesca verso il mare. In basso fanteria germanica nell'attacco ad un caposaldo britannico.

L'offensiva prosegue per tutta la giornata del l settembre. Rommel, malgrado i contrattempi iniziali, è fiducioso nel buon esito dell'operazione. Infatti, anche se l'aviazione e l'artiglieria anticarro britannica mettono a dura prova le nostre truppe, l'avanzata continua. E, nei settori fermi a copertura delle nostre linee, i contrattacchi britannici s'infrangono contro la barriera costituita dalle divisioni italiane. Nella foto in alto i marescialli Rommel e Bastico esaminano, al quartier generale, l'andamento della battaglia. In basso un battaglione della divisione paracadutista « Folgore », da poco entrata in linea ad El Alamein, che si dimostrò anche in quei combattimenti uno dei migliori reparti impiegati in Africa settentrionale.

Aspetti della lotta ad El Alamein. In alto a sinistra un reparto di lanciafiamme italiano si avvicina, malgrado la furibonda reazione dell'artiglieria nemica ad un caposaldo britannico. Al centro a sinistra i guastatori sono giunti a ridosso del reticolato nemico. In basso a sinistra tutto intorno è l'inferno. Il guastatore attende rannicchiato in una buca il momento buono per l'attacco finale. In alto a destra il lanciafiamme é riuscito a vomitare contro il nido di mitragliatrici avversario la sua vampata micidiale. In basso a destra una scena di tutti i giorni sul fronte egiziano. Con l'aiuto di una semplice baionetta i genieri italiani hanno disinnescato una delle tante mine di cui il nemico ha disseminato il terreni:






















 





















La sera del 1 settembre Rommel è riuscito a spingersi fino a quasi la metà del fronte britannico in direzione nord. Ma, proprio nel momento in cui si accendono le più rosee speranze, la situazione va precipitando. La « 7a » divisione corazzata britannica, che nei giorni precedenti aveva sfuggito il combattimento, minaccia l'ala destra dello schieramento difensivo italo-tedesco, mentre la decima divisione corazzata, allineata da est ad ovest, arresta i disperati attacchi lanciati sulla cresta di Alam el Halfa. Gravi sono poi le perdite, specialmente ad opera dell'aviazione e del micidiale tiro contro carro britannico. Nella foto in alto una batteria italiana spara contro i tanks britannici che contrattaccano. Al centro lanciafiamme italiano in azione. In basso uno scontro vittorioso per i « panzer » tedeschi. Il carro germanico sorpassa la carcassa del mezzo nemico.





3 settembre 1942. Siamo alle ultime battute dell'offensiva. Gli italo-tedeschi attaccano ancora ma ormai appare evidente che la battaglia non darà i grandi risultati strategici nei quali si sperava alla vigilia. Oltre alla manovra, effettivamente pericolosa, della « 7a » divisione corazzata britannica e all'afflusso di un'altra brigata di tanks da Alessandria, due sono i fattori che preoccupano il maresciallo Rommel: la consapevolezza che le severe perdite subite nel settore dei carri potranno essere di difficilmente rimpiazzate e la notizia, giuntagli proprio il 2 settembre, dello affondamento di alcuni piroscafi carichi di carburante. L'elevatissimo consumo di benzina dei tre giorni di offensiva ha infatti ridotto le riserve dell'armata quasi a zero. Continuando nell'offensiva, quindi, Rommel teme di restare praticamente paralizzato. E cosi, rinunciando a quella che in fondo al cuore considera l'ultima possibilità di infliggere al nemico una sconfitta decisiva, dà alle sue truppe l'ordine di fermarsi sulle posizioni raggiunte e di iniziare anzi, una graduale retrocessione sulle linee di partenza. Nella foto in alto a sinistra guastatori italiani in azione nel deserto. Al centro a sinistra rapporto di generali italiani. L'ufficiale con la testa fasciata è il comandante della divisione « Ariete », gen. Niccolini, poi caduto ad El Alamein. In basso a sinistra una pattuglia si arrende ad una nostra colonna. In alto a destra un battaglione di fanteria italiano impegnato da un contrattacco britannico. Al centro a destra lanciafiamme italiani in azione. In basso a destra una batteria inglese catturata.
La controffensiva inglese


Non appena Rommel, interrotta la spinta offensiva, accenna a ritirarsi sulle posizioni di partenza, i britannici lanciano all'attacco tutte le forze disponibili, nel tentativo di impedire il movimento avversario e di isolare le divisioni corazzate dal resto del fronte. Particolarmente violenti sono gli attacchi lanciati lateralmente dalla « 7a » divisione corazzata britannica e quelli che, al centro del fronte, conducono la « 2a » divisione neozelandese, la 10a corazzata britannica contro la gloriosa «90a» tedesca. Ma queste puntate inglesi vengono prontamente rintuzzate con gravi perdite. Montgomery deve limitarsi perciò a mantenere solo una limitata pressione sulle retroguardie di Rommel. Nella foto in alto fanteria britannica, avanza sotto la protezione dei carri armati, In basso l'equipaggio di un carro tedesco rimasto privo di carburante si arrende ad una pattuglia britannica.



Il 4 settembre, dopo una nuova serie di scontri sanguinosi, si ristabilisce, a un dipresso, la situazione precedente alla battaglia. Dinnanzi alla ferma resistenza italo-tedesca si infrangono gli ultimi attacchi controffensivi britannici. L'offensiva si chiude quindi senza che vi siano, almeno sul piano strategico, dei vinti e dei vincitori. Rommel è stato indotto a desistere non già dalla resistenza nemica, rivelatasi forte ma forse inferiore all'attesa, bensì dalla drammatica situazione dei rifornimenti. Egli, infatti, era partito confidando nell'arrivo regolare dei rifornimenti dall'Italia e invece, proprio nel momento culminante, l'intendenza gli aveva comunicato che non solo i piroscafi attesi erano stati affondati ma che gli stessi depositi in Africa erano appena sufficienti per il traffico ordinario di pochi giorni. In simili condizioni, quindi era impossibile procedere: anche nella migliore della ipotesi sarebbe stato impossibile quello sfruttamento radicale del successo che era alla base del piano d'attacco. Si è detto che Rommel, tra l'altro, fu impressionato dalla grande superiorità aerea nemica. Questo è vero e si rileva anche dai suoi rapporti. Ma va notato che, tra le cause del mancato successo, questo fattore è messo all'ultimo posto. Il disturbo causato dalla aviazione nemica fu ritenuto da Rommel meno grave di quello provocato dai campi minati. In quanto al bilancio delle perdite, gli stessi britannici confessano di essere stati provati assai più duramente dell'avversario. Ed essi, rioccupando il territorio perduto all'inizio dell'offensiva, poterono accuratamente controllare le perdite nemiche dal numero dei relitti abbandonati nel deserto. Nella foto in alto una batteria britannica batte le nostre linee. Al centro una camionetta inglese attrezzata con un cannoncino anticarro per la lotta nel deserto, passa dinnanzi al relitto di un carro armato germanico. Da notare l'effetto micidiale del tiro: la torretta è stata staccata di netto. In basso una eccezionale foto di fonte britannica: l'allucinante visione di un bombardamento notturno sulle linee tedesche.



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