mercoledì 9 luglio 2014

Adolf Hitler: l'ascesa al potere 1924-1933 (3a parte)



Terza parte: 1933

“Il 1933 sarà il nostro anno. Glielo posso mettere per iscritto” asserì Hitler alla festa di capodanno
ad uno dei suoi maggiori sostenitori, Ernst Hanfstaengel. La lotta quindi continuava e il successo
sarebbe presto arrivato. Bisognava comunque agire con prudenza perché il partito stava
attraversando una fase difficile. Bisognava evitare che il governo Schleicher cadesse
immediatamente perché le dissanguate risorse finanziare del partito non sarebbero riuscite a
reggere ad un’altra estenuante campagna di propaganda per le elezioni. I deputati nazisti
contribuirono quindi a bloccare un voto di sfiducia proposto da comunisti e socialdemocratici. La
vera svolta che fece uscire Hitler da un vicolo cieco in cui lui stesso aveva voluto finire giunse il 4
gennaio. In gran segreto (anche  il suo autista personale Otto Dietrich era all’oscuro di tutto) il
Fuhrer si incontrò con l’ex cancelliere Franz von Papen. L’obiettivo di quest’ultimo era chiaro:
riprendere il suo posto al governo vendicandosi di Schleicher che prima gli aveva consegnato il
potere e poi glielo aveva sottratto. Papen propose ad Hitler di formare un governo nuovo
appoggiato da una coalizione tra nazisti e conservatori e che si sarebbe servito dell’appoggio di




Hindenburg e dei suoi speciali decreti. La proposta era allettante, anche se la divisione del potere
non rientrava nei piani di Hitler. Bisognava però arrivare alla cancelleria prima che fossero indette
nuove elezioni per evitare ulteriori perdite alle urne. Questo il Fuhrer lo sapeva bene e la chance
che Papen gli offriva, se ben sfruttata, avrebbe potuto condurre ad ottimi risultati. Sapeva bene
comunque che l’anziano Hindenburg si era sempre opposto ad un suo gabinetto ma sperava di
riuscire a sfruttare l’influenza di Papen sul presidente ai propri fini. 

Su questo importante fattore si basava la strategia del nuovo alleato di Hitler: l’avversione di
Hindenburg verso il leader nazista gli avrebbe permesso di ritornare cancelliere contando
sull’appoggio dei deputati nazisti. Papen promise che avrebbe nominato due nazisti ai ministeri
degli interni e della difesa, due posizioni di rilievo che avrebbero dato al partito nazionalsocialista il
controllo delle forze armate. Hitler non era comunque disposto a ricoprire un ruolo di secondo
piano e reclamava per sé la cancelleria forte del grande appoggio popolare di cui godeva. Alla fine
non si decise niente ma i due politici decisero di reincontrarsi per continuare le trattative. Il giorno
seguente la notizia dell’incontro appariva già su molti giornali berlinesi, nonostante le forti
precauzioni prese da Hitler. I nazisti cercarono di sminuire l’importanza di un simile avvenimento e
i due politici tedeschi affermarono di essersi incontrati solo per discutere della possibilità di un
ampio fronte nazionalista. Schleicher non dette peso alla notizia pensando che Papen non avesse il
coraggio di muoversi contro di lui. Il generale considerava il proprio ex protetto poco più che un
fantoccio, incapace di ordire cospirazioni e impacciato nel difficile mondo politico tedesco. Ma
Papen stava attuando un piano ben preciso ed era deciso ad andare fino in fondo. Si incontrò con
Hindenburg riferendogli che Hitler era disposto ad appoggiare un gabinetto di coalizione assieme
alle forze conservatrici. Il presidente intuì che una simile opportunità implicava la caduta di
Schleicher poiché i nazisti non lo avrebbero mai appoggiato. Sarebbe stato Papen a dover ricoprire
l’ambita carica di cancelliere, forte dell’appoggio del presidente. 

Rilanciato dagli avvenimenti degli ultimi giorni Hitler si immerse completamente nella campagna
elettorale nel Lippe, uno dei più piccoli stati federali che contava solo 100000 abitanti. Era il
omento ideale per rilanciare la credibilità del partito: le dimensioni ridotte del territorio
rendevano possibile una intensa campagna elettorale che non avrebbe pesato troppo sulle risorse
finanziarie naziste, ormai agli sgoccioli. Tra il 4 e il 15 gennaio, giorno delle elezioni, Hitler tenne
quindici discorsi e altri importanti esponenti nazionalsocialisti completarono l’opera di propaganda
con 23 comizi. Bisognava sfatare l’impressione ormai diffusa che il nazionalsocialismo fosse in
declino e che presto sarebbe crollato. Un'altra sconfitta alle urne sarebbe stata fatale ma la sorte
giocò  ancora una volta a favore dei nazisti. Il Lippe era l’ideale per rilanciare il partito e Hitler lo
sapeva bene. Le dimensioni ridotte del territorio permettevano di sostenere una campagna di
propaganda senza precedenti con discorsi giornalieri in tutto lo stato. La popolazione era costituita
per lo più da protestanti, il 95% circa, che vivevano per lo più in campagna. Il partito nazista non
aveva mai riscosso molti consensi nelle zone altamente industrializzate la cui popolazione votava
solitamente o per i socialdemocratici o per i comunisti. Nel Lippe le fabbriche erano quasi
inesistenti e le poche che c’erano erano piccole aziende che producevano mobili. I nazisti
contribuirono a rendere più imponente la loro campagna elettorale facendo affluire nel minuscolo
stato migliaia di SA dalle regioni circostanti. Ai discorsi le camicie brune contribuivano ad
accrescere la spettacolarità con inni entusiastici e applausi scroscianti. 

I raduni erano di una pomposità quasi sconcertante, soprattutto se paragonati a quelli degli altri
partiti. Hitler puntava molto sull’effetto scenografico per accendere gli animi dei suoi interlocutori.
Le SA incominciavano ad intrattenere il pubblico circa un’ora prima del comizio suonando inni

marziali e marciando per la città fino al luogo prestabilito per il raduno. Quindi si disponevano su
due file creando tra di esse un corridoio in cui sarebbe passato l’oratore accolto con altre canzoni
marziali che accrescevano l’importanza del suo arrivo. La strada verso il successo elettorale nel
Lippe non era comunque tutta in discesa. L’ostacolo più grave era rappresentato dalle ormai
esaurite casse del partito, provate dalle numerose elezioni dell’anno precedente (le due del
Reichstag, le due presidenziali e le elezioni parlamentari per lo stato prussiano). Negli anni
precedenti Hitler aveva potuto sempre contare su una grande disponibilità di denaro per
finanziare la propaganda durante le elezioni. Nel periodo della scalata al potere, che aveva visto
l’ascesa del partito nazista, le iscrizioni erano in rapido aumento e molti donavano anche più della
quota prestabilita, sicuri che presto si sarebbe giunti al potere. I capovolgimenti degli ultimi mesi
avevano invece fatto precipitare il numero delle iscrizioni. In molti smisero di pagare la propria
quota presi dallo sconforto e dalla delusione per le ultime sconfitte. Anche i raduni, con il loro
biglietto di ingresso più volte ridotto, non garantivano più una stabilità economica al partito. Hitler
dovette finanziare  la campagna del Lippe anche attraverso le proprie entrate personali sui diritti
del suo Mein Kampf. 

Gli avversari politici di Hitler cercarono in tutti i modi di ostacolare i nazionalsocialisti screditandoli
agli occhi della gente. In particolar modo puntavano il dito su una presunta “scissione” del partito
ad opera di Gregor Strasser che secondo fonti bene informate stava tramando alle spalle del
Fuhrer per entrare nel gabinetto Schleicher con il ruolo di vice cancelliere. Molti esponenti nazisti
delusi dalla inconcludente strategia di Hitler simpatizzavano infatti per il suo ex luogotenente,
considerato un politico più concreto e dinamico. I timori sembrarono concretizzarsi quando
divenne pubblica la notizia dell’incontro tra Hindenburg e Strasser. Il 12 Goebbels scrisse nel suo
diario: “Strasser sta complottando. È stato dal presidente.  … Questo è quello che io chiamo un
traditore. L’ho sempre pensato e Hitler ne è molto scosso”. La situazione in effetti si stava facendo
complicata e la tensione all’interno del partito si poteva tagliare con un coltello. Ad aggravare le
cose lo stesso giorno apparve su un quotidiano regionale una lettera di un nazista dissidente che
accusava il partito e i suoi più alti esponenti. Arrivare al potere passando per le urne era una
strategia completamente sbagliata, scrisse con toni aspri e decisi. Ma soprattutto i funzionari del
partito non erano in grado di adempiere ai loro compiti perché erano scelti non in base alle loro
effettive qualità ma solo per la loro sottomissione ai massimi dirigenti. In pratica non erano altro
che dei semplici esecutori di ordini. Goebbels si affrettò a sminuire la portata della denuncia
affermando che si trattava di un caso isolato ma la compattezza nazista sembrava essersi
sgretolata definitivamente. 

I risultati premiarono comunque gli sforzi di Hitler, almeno in apparenza. Con il 39,5% dei voti era
riuscito ad imporsi sugli altri partiti ed a conquistare la maggior parte dei 21 seggi dell’assemblea
legislativa. Ma se non ci si ferma ad analizzare solo la superficie del risultato si può vedere come
esso non sia stato poi così eccezionale. I nazisti non riuscirono a sconfiggere le forze di sinistra.
Anzi, i socialdemocratici guadagnarono rispetto alle elezioni di novembre quasi del 3%. I voti in più
che i nazisti ottennero furono sottratti al Partito nazionale tedesco che perse quasi il 4%. In
definitiva il rapporto tra destra e sinistra rimaneva invariato ed in sostanziale equilibrio. L’aumento
di consensi rispetto alle ultime elezioni per il Reichstag fu dovuto quasi esclusivamente alle
incredibili risorse che Hitler profuse nella campagna elettorale. Un giornale cattolico scrisse:
“Perché un simile incremento di voti? Perché nessun partito in Germania possiede o può
impiegare a) così tanti soldi, b) così tanti oratori, c) così tante tende, auto e altoparlanti da
eguagliare l’azione nazista nel Lippe in modo tale da sottoporre ogni circoscrizione elettorale alla
stessa enorme pressione usata per assicurare un simile successo”. Ma i nazisti urlavano comunque

alla vittoria come un segnale di ripresa del partito. Il risultato era un evidente indice di gradimento
del popolo che si era riaffiancato al partito nazista nella lotta contro il sistema repubblicano e il
marxismo. 

Hitler approfittò immediatamente della situazione per chiudere una volta per tutte il caso Strasser
e ridare così solidità al suo partito. Tenne un discorse di tre ore ai Gauleiter difendendo con toni
aspri e decisi la sua strategia politica che aveva portato al successo nel Lippe. Poi attaccò
direttamente Strasser accusandolo di tradimento e rendendolo responsabile degli scarsi risultati
ottenuti alla fine del 1932. Chi si fosse schierato con il traditore sarebbe stato disonorato per
sempre. Tutti furono conquistati e giurarono nuovamente fedeltà ad Hitler. Goebbels era
entusiasta: “Il caso è chiuso … tutti hanno abbandonato Strasser”. In effetti il docile farmacista uscì
definitivamente di scena. 

Non si hanno prove che egli stesse realmente complottando contro il Fuhrer ed è difficile credere
ad una simile ipotesi. A Strasser mancava infatti quello charme e quel carisma necessari per poter
opporsi ad Hitler e vedeva ancora nel leader nazista l’unica figura nell’ambiente politico tedesco in
grado di far risorgere la Germania. Decise quindi d’accordo con Goring di ritirarsi per due anni
dalla vita politica ed accettò un modesto lavoro in una casa farmaceutica. Ciò non impedì che
durante la famosa purga del giugno 1934, nota come “notte dei lunghi coltelli”, egli venisse
assassinato da un commando di SS.


La situazione per il partito nazista a metà gennaio prospettava un futuro difficile che sarebbe stato
caratterizzato da altri insuccessi. Si facevano sempre più insistenti le voci riguardo ad irregolarità
finanziarie, dovute alle ristrettezze economiche. Molti giornali furono costretti a chiudere e pagare
i giornalisti che lavoravano per quelli ancora esistenti diventava un problema. Le SA si
dimostrarono sempre più insoddisfatte della politica di Hitler e premevano per una linea più
rivoluzionaria per rovesciare l’attuale repubblica. La tensione sfociò in una violenta ribellione,
guidata dal comandante delle SA della Franconia centrale, Wilhelm Stegmann. Quasi tutte le
camicie brune sotto il suo comando, circa 6000, lo seguirono nella speranza di cambiare le cose.
Ma Hitler reagì espellendo i dissidenti dal partito e denunciandoli come traditori agli occhi della
gente. Le parole del Fuhrer non furono sufficienti e le diserzioni si estesero a macchia d’olio anche
alle regioni circostanti. L’organizzazione paramilitare nazista si stava lentamente sgretolando e se
Hitler non fosse riuscito ad ottenere la cancelleria il 30 gennaio, eliminando così dissidi e contrasti,
sarebbe crollata definitivamente entro pochi mesi.

Intanto il leader nazista proseguiva per la sua strada, sorretto come sempre da una fede cieca nei
suoi ideali. Il 18 gennaio si avvalse dell’aiuto di un produttore di champagne, Joachim von
Ribbentrop, per incontrare nuovamente Papen. Hitler attaccò immediatamente pretendendo per
sé la cancelleria, forte della vittoria ottenuta nel Lippe tre giorni prima. Le sue parole caddero però
nel vuoto poiché il suo interlocutore continuava a premere per un gabinetto Papen appoggiato dai
nazisti. Il colloquio terminò con un nulla di fatto e i due si lasciarono nuovamente senza un preciso
appuntamento per proseguire le trattative.

Hitler era ben conscio che il destino suo e del suo partito non dipendevano ormai interamente
dalle sue capacità. Un ruolo determinante lo avrebbe avuto Papen, lo strumento necessario per
ingraziarsi Hindenburg, e Schleicher. Molto, adesso, sarebbe dipeso dalle loro decisioni, dettate
spesso dal carattere e dalle ambizioni private. Era una situazione delicata e difficile e nello stesso
tempo unica ed imperdibile. Se ben sfruttata avrebbe permesso di raggiungere il potere

eliminando così tutti i dissidi interni del partito. Hitler sapeva bene che si sarebbe giocato tutto in
pochi giorni ma piuttosto che assistere alla lenta disgregazione del suo movimento decise di
rischiare, nonostante il successo dipendesse più dalle decisioni dei suoi nemici e alleati che dalle
sue. D’altronde ai suoi occhi le possibilità erano solo due: o il pieno successo della sua missione o il
fallimento più completo. Non esisteva una via di mezzo, un compresso accettabile. O tutto, o
niente.

Gli occhi di entrambi i complottatori erano ora puntati su un solo uomo: Schleicher. Buona parte
delle possibilità di successo dipendevano dalle sue reazioni. Se avesse subodorato qualcosa
sicuramente avrebbe cercato di correre in qualche modo ai ripari. Ma il cancelliere guardava con
indifferenza agli avvenimenti della prima metà di gennaio. Cercava di mantenere un
atteggiamento moderato nei riguardi del Reichstag assicurando la nazione che il suo era solo un
cancellierato di transizione e che si sarebbe impegnato a combattere la disoccupazione creando
nuovi posti di lavoro. Ruppe sistematicamente con la linea politica del suo predecessore Papen
cercando di favorire la ripresa economica in modo più diretto attraverso finanziamenti governativi
e non con delle semplici agevolazioni alle imprese. Cercò anche di ingraziarsi le masse abolendo un
provvedimento che diminuiva i benefici per i disoccupati ed un altro che dava il potere ai datori di
lavoro di ridurre in alcuni casi i salari sotto il minimo fissato. In privato Schleicher non nascondeva,
però, le sue preoccupazioni. Il Reichstag, con il suo spauracchio del voto di sfiducia, rimaneva
ancora un problema. In più Hindenburg non sembrava intenzionato a concedergli lo speciale
decreto di scioglimento che gli avrebbe permesso di coprirsi le spalle. 

Bisognava trovare un modo per darsi lustro in campo politico e, soprattutto, di fronte agli occhi
della gente. Una azione che gli avrebbe permesso di riscuotere il favore delle masse e quindi di
guadagnare prestigio e magari anche l’appoggio del presidente. Il suo piano era semplice: sfruttare
il diritto sulla parità di armamenti appena ottenuto per mettere fine alla impotenza militare della
Germania. Sperava in sostanza di elevarsi al salvatore dell’orgoglio tedesco in campo
internazionale dopo le miserie subite dalla sconfitta della prima guerra mondiale. L’esercito si
sarebbe dovuto ricostituire passo dopo passo fino alla ripresa della leva universale. Il progetto era
ambizioso ma la sua realizzazione poneva il cancelliere di fronte a molti problemi da risolvere,
primo fra tutti le notevoli risorse economiche necessarie per attuare un programma di riarmo in
un arco di tempo limitato (circa due anni). Inoltre sulla sua testa pendeva sempre, come una spada
di Damocle, la minaccia di un voto si sfiducia, soprattutto perché Hindenburg, simpatizzando 
ancora per Papen, non sembrava intenzionato a concedergli il risolutorio decreto di scioglimento. 

A Schleicher restava poco tempo per porre fine al suo isolamento politico poiché il Reichstag si
sarebbe riunito già il 31 gennaio. Se la situazione fosse rimasta invariata un voto di sfiducia
sarebbe stato pressoché inevitabile. Al suo gabinetto si sarebbero opposti sicuramente i
Socialdemocratici, che accusavano Schleicher di aver caldeggiato Papen nella destituzione del
gabinetto prussiano, e i comunisti, che puntavano a destituire il cancelliere per approfittare delle
seguenti elezioni ed incrementare ancora il loro vantaggio a discapito dei nazisti. Da soli questi due
partiti potevano contare su 221 deputati, quasi il 40% del totale. Senza tener conto che molte altre
formazioni politiche di minor importanza si schieravano apertamente contro il governo e che i loro
voti avrebbero sicuramente contribuito a promuovere un eventuale voto di sfiducia.

Schleicher capì subito che aveva bisogno di Hitler. Solo lui poteva garantire al suo governo una
parvenza di stabilità e scongiurare quindi una prematura caduta. Sperava che i nazisti sarebbero
scesi a compromessi con lui pur di evitare lo spettro di nuove elezioni che avrebbero causato al

partito altre perdite alle urne. Era anche convinto di potersi servire con facilità di Hitler,
distruggendo nello stesso tempo il mito dell’opposizione ad oltranza al governo che aveva fruttato
fino a quel momento molti voti ai nazisti. Nei suoi obiettivi non rientrava comunque la distruzione
del partito nazista: se ciò fosse avvenuto molti dei suoi esponenti sarebbero migrati verso l’ala
comunista, considerata da Schleicher il pericolo numero uno per la Germania. 

Il piano ad una prima analisi sembra ben congegnato. In effetti se il governo si fosse sciolto
sicuramente i nazionalsocialisti avrebbero perso altro terreno, specialmente nei confronti dei loro
avversari diretti: i comunisti. Schleicher sapeva che Hitler era ben conscio della situazione che il
suo partito stava affrontando: difficoltà economiche e dissidi interni non ancora mitigati. Era
convinto che Hitler avrebbe preso la sua proposta come una sorta di ancora della salvezza, per
limitare i danni e guadagnare il tempo necessario per risollevare il partito. Sta proprio qui il
fondamentale errore che farà naufragare i propositi di Schleicher. La sua sicurezza, il suo orgoglio,
e il suo sottovalutare l’avversario lo avrebbero tradito entro pochi giorni. Hitler non era un politico
comune e non sarebbe mai sceso a compromessi, sempre spinto dalla convinzione di essere
l’uomo del destino, il salvatore della Germania. In più alle spalle del cancelliere stava
complottando anche Papen. Schleicher lo sapeva bene ma non dette alcuna importanza alla cosa,
disprezzando le capacità politiche del suo ex protetto. Hitler e Papen invece giocarono bene le loro
carte ma buona parte del merito del loro successo deve essere attribuito a Schleicher stesso. 

Anche la situazione interna fra i suoi collaboratori non era favorevole al cancelliere. Alla sua
nomina invece di eleggere dei nuovi ministri a lui fedeli confermò tutti quelli già in carica, per la
aggior parte dei tecnici conservatori che male si adattavano alla sua linea politica. I suoi modi
bruschi e la sua arroganza gli alienarono la loro fiducia e questo non contribuì certamente
all’immagine di un governo finalmente compatto che stava cercando di creare.

Intanto, mentre Schleicher restava convinto delle sue illusioni, Hitler si diede da fare per
raggiungere al più presto i suoi scopi e ancora attraverso von Ribbentrop organizzò un incontro
con Papen per il 22 gennaio. Entrambe le parti sapevano che il colloquio sarebbe stato decisivo,
anche perché vi partecipavano il segretario presidenziale Otto Meissner e il figlio del presidente,
Oskar. Entrambi avevano una grande influenza su Hindenburg e riuscire ad ingraziarseli fu una
delle mosse vincenti di Papen. Mentre Goring si intratteneva con Meissner, Hitler si separò dal
gruppo per conferire in privato con Oskar. Il dialogo tra i due non è ben chiaro perché entrambi
non hanno lasciato testimonianze scritte di questo avvenimento. Sicuramente Hitler sfruttò
appieno le sue qualità oratorie perché durante il viaggio di ritorno il giovane Hindenburg confidò al
segretario del padre che l’ascesa di Hitler era ormai inevitabile. Anche Goring seppe farsi valere
conquistando l’appoggio di Meissner. Quest’ultimo era un uomo molto astuto che badava
soprattutto alla sua posizione sociale, più che ai doveri che la carica ricoperta gli addossava.
Appena capì che Schleicher sarebbe presto finito in disgrazia cercò di assicurarsi l’appoggio dei più
probabili candidati alla cancelleria e soprattutto il sostegno di Hitler. 

Il Fuhrer poteva ritenersi più che soddisfatto del lavoro compiuto quella sera. Meissner ed Oskar
erano le persone fra i consiglieri più fidati di Hindenburg e, partecipando alla maggior parte dei
colloqui, potevano “ammorbidirlo” circa una sua eventuale candidatura alla cancelleria. Anche
Papen ritenne che la parte maggior parte dei problemi fossero stati risolti dopo il colloquio del 22
e decise di conferire con il presidente già il giorno seguente. La sua proposta di destituire
Schleicher trovò subito l’approvazione dell’anziano generale, che ormai non nutriva più alcuna

stima nei confronti del cancelliere. Ma quando Papen, appoggiato da Meissner, propose la nomina
di Hitler riservandosi solo la poltrona di vice cancelliere, Hindenburg rifiutò categoricamente. 

Nel frattempo mentre i cospiratori si trovavano a colloquio dal presidente Schleicher apprese
dell’incontro della sera precedente a casa di Ribbentrop. Fu un duro colpo scoprire che anche
Meissner ed Oskar stavano ora tramando alle sue spalle. Il loro appoggio avrebbe dato a Papen un
forte vantaggio nei suoi confronti presso Hindenburg. I suoi rapporti con il presidente erano già
olto tesi e se anche i suoi due consiglieri più fidati si fossero schierati contro di lui presto la sua
posizione sarebbe stata in pericolo. Non avrebbe infatti mai ottenuto dal presidente il decreto di
scioglimento e sarebbe stato costretto a subire un voto di sfiducia dai risultati terrificanti. Per
scongiurare una simile eventualità fissò un appuntamento con Hindenburg nel pomeriggio dello
stesso giorno, poche ore dopo il colloquio del suo rivale. Schleicher voleva scoprire se poteva
ancora contare sulla fiducia che gli era stata promessa al momento della sua elezione a cancelliere.
Alla sua nomina infatti il presidente gli aveva accordato il suo appoggio completo, esattamente
come era avvenuto per il suo predecessore. Kurt espose rapidamente a Hindenburg il motivo della
sua visita: quando il Reichstag si sarebbe riunito il 31 gennaio nulla avrebbe potuto evitare un voto
di sfiducia. Chiese quindi il decreto necessario per sciogliere la camera e il rinvio delle elezioni, da
tenere entro due mesi, oltre il termine prestabilito dalla costituzione. Per appoggiare le sue
richieste tentò di focalizzare l’attenzione del suo interlocutore sulla leggera ripresa economica in
corso determinata dalle sue manovre economiche. Hindenburg lasciò cadere le richieste del
cancelliere nel vuoto lasciando intendergli che prima voleva pensarci con calma e che poi ne
avrebbero riparlato. 

Schleicher si trovava ora con le spalle al muro, senza alcuna possibilità concreta di reagire. A dir il
vero una possibilità esisteva e gli era stata fornita dal “suo” ministero della difesa. Nella
costituzione repubblica si trovava un errore poco evidente ma scoperto verso la fine del 1932 da
alcuni esperti: al momento della sua stesura nessuno aveva pensato alla possibilità di una
aggioranza negativa. In pratica i partiti che univano le loro forze per promuovere un voto di
sfiducia non costituivano in seguito una maggioranza che potesse sostenere il governo dopo la sua
caduta.  Appoggiandosi a questa lacuna, il gabinetto del Wurttemberg aveva rifiutato una mozione
di sfiducia alla fine del 1932 ed era riuscito a restare in carica. Per suoi consiglieri militari questo
era l’unico modo che il cancelliere avesse per rimanere in carica. In più offriva anche due
fondamentali vantaggi: 1)non andava contro la costituzione (almeno apparentemente) e quindi
non avrebbe attirato le ire dei repubblicani 2)non necessitava di un evidente appoggio da parte del
presidente ma solo di un suo tacito consenso. Contro ogni aspettativa Schleicher non si aggrappò a
questa ultima chance con ostinazione. Anzi, la rifiutò categoricamente senza però additare alcuna
motivazione. 

Qualunque cosa pensasse, ora Schleicher si trovava in una situazione precaria. Era completamente
isolato politicamente e non era riuscito a farsi degli alleati ne fra i partiti di destra ne tra quelli di
sinistra. L’ambasciatore francese Francois-Poncet scrisse a Parigi in quei giorni: “Preso nel vortice
delle correnti che attraversano la Germania il generale non sa scegliere; l’impressione che dà è che
prima di impegnarsi voglia osservare quale corrente vincerà”. E ancora: “ … al momento la
Germania necessita di uomini che creino una corrente e non che ne seguano una”. Schleicher
probabilmente si stava già rassegnando all’idea di dover abbandonare la sua carica dopo il
ancato appoggio da parte di Hindenburg. È difficile spiegare i motivi di una simile rassegnazione
per un uomo abituato all’intrigo ed al doppio gioco come lui. Sicuramente il tradimento da parte
del presidente, che gli aveva promesso tutto il suo appoggio il giorno della nomina, doveva averlo

molto scosso. Entrambi erano ufficiali prussiani che consideravano l’onore e la parola data dei
fondamenti sacri su cui si basava il codice cavalleresco prussiano. Ormai si aspettava di perdere il
potere a giorni e, per salvare la Germania da un terzo gabinetto Papen, era disposto a cedere la
cancelleria ad Hitler. 

La notizia della rottura tra Hindenburg e Schleicher incominciò ad apparire su molti giornali.
Temendo che ciò portasse nuovamente alla nomina di Papen, il capo del comando dell’esercito
Kurt von Hammerstein si incontrò con il presidente il giorno 27 per metterlo in guardia che un
simile provvedimento avrebbe potuto portare alla guerra civile. Le sue parole non trovarono però
alcuna risposta.

Il giorno seguente, il 28 gennaio, conscio che ormai non aveva nessuna altra alternativa, Schleicher
decise di affrontare nuovamente Hindenburg. Sicuro che si sarebbe opposto alla richiesta di un
decreto di scioglimento, avrebbe presentato le sue dimissioni. Al colloquio il cancelliere espose i
suoi pensieri sulla situazione attuale della politica tedesca. Caldeggiò la permanenza al potere del
suo gabinetto e si oppose strenuamente ad un reinsediamento di Papen, malvisto dal popolo. Ma
ormai il vecchio presidente non lo ascoltava nemmeno. Lasciatolo “sfogare” gli negò il decreto e,
ringraziandolo per i servigi resi alla patria, gli presentò una lettera di dimissione già compilata.
Schleicher, come d’accordo, sarebbe rimasto in carica fino alla formazione del nuovo governo.
Dopo una breve discussione sul testo i due si salutarono per l’ultima volta.

Nel pomeriggio di quello stesso giorno Hindenburg ricevette anche la visita del suo protetto cui
affidò il compito di sondare alcuni partiti riguardo la formazione di un nuovo governo. In realtà
Papen si stava muovendo in quella direzione da almeno una settimana. Aveva avuto
principalmente contatti con Hugenberg e Franz Seldte, leader dello Stahlelm, un’organizzazione
paramilitare con oltre 300.000 membri. L’obiettivo era quello di creare una coalizione nazionalista
con Hitler come cancelliere. Convincere Seldte non fu difficile. Il suo partito non era di grossa
dimensione e l’opportunità che gli veniva offerta era un’occasione d’oro per occupare un posto di
rilievo nel nuovo governo. Hugenberg si dimostrò invece meno malleabile. Di carattere chiuso ed
egocentrico, era un uomo ancorato saldamente alle sue idee dalle quali non si discostava mai.
Trattare con lui era molto difficile a causa della sua ristrettezza di vedute che non gli forniva mai
una visione d’insieme degli argomenti su cui si stava trattando. Era raro sentirlo ammettere di aver
sbagliato. Francois-Poncet lo definì “uno dei peggiori spiriti della Germania”. Papen doveva
editare attentamente il tipo d’approccio da avere nei suoi confronti se non voleva mandare a
onte il suo piano.

La sera precedente, il 27 gennaio, ci fu un incontro tra Hitler, Frick, Goering e Hugenberg. La
questione principale del loro incontro era il possesso dei due ministeri degli interni, quello
nazionale e quello prussiano. I nazisti reclamavano il controllo di entrambi ma Hugenberg si
dimostrò titubante a concedere a Hitler due cariche così importanti. Se da un lato infatti il
inistero degli interni nazionale non aveva un grande valore, dall’altro quello prussiano
permetteva il controllo della polizia nel più grande stato tedesco. Spaventato dalla possibilità che
Hitler ottenesse il controllo sui quasi 50.000 uomini delle forze di polizia Hugenberg pretese che il
inistero fosse affidato a un non nazista. Irato il leader nazista interruppe l’incontro e tornò al
Kaiserhof Hotel, dove alloggiava. Fu necessario l’intervento di Papen il giorno seguente perché le
trattative venissero riprese. 
 
Mentre le trattative con Hugenberg erano in corso, Hitler e Papen ricevettero la visita di Fritz
Schaffer, segretario dei popolari bavaresi ed “emissario” dei partiti cattolici di centro. Impauriti
che le recenti voci di un possibile ritorno dell’ex cancelliere al potere diventassero realtà, i leader
cattolici proposero di formare una nuova coalizione insieme con i nazisti ed nazionalisti in modo
da formare una efficace maggioranza al Reichstag. In questo modo il nuovo gabinetto sarebbe
stato di tipo parlamentare e non presidenziale. Una simile ipotesi incontrò però le resistenze di
Hitler. Ritirando il loro appoggio, i cattolici avrebbero potuto far crollare il governo in qualsiasi
omento. Il leader nazista aspirava invece a diventare cancelliere presidenziale, libero dai vincoli
del parlamento. La proposta di Schaffer non si conciliava quindi con i piani di Hitler che rifiutò.
Anche Papen si dimostro poco recettivo nei confronti del collega cattolico. Promise comunque a
Schaffer che avrebbe riferito la sua proposta al presidente. 

Ora i due ostacoli principali erano le residue reticenze di Hindenburg e le trattative ancora in corso
con Hugenberg. Quest’ultimo fu infine convinto con la promessa di ricevere, in cambio delle
concessioni fatte ad Hitler, alcuni ministeri fra cui quelli dell’agricoltura e del tesoro. Le resistenze
del presidente furono infine vinte la sera del 28. Tutti i suoi consiglieri più fidati erano ormai a
favore di un insediamento del leader nazista alla cancelleria e i continui rifiuti di Papen ad
accettare di nuovo l’incarico non davano molte altre alternative ad Hindenburg. Papen cercò
anche di rassicurarlo sminuendo le richieste dei nazisti. Affermò che la maggior parte dei ministri
era disposta a restare in carica anche sotto un gabinetto Hitler. Gli unici due dicasteri su cui il
presidente desiderava intervenire direttamente erano quelli degli esteri e della difesa. Fu quindi
particolarmente contento che l’attuale ministro degli esteri, il barone Konstantin von Neaurath,
avesse deciso di rimanere al suo posto anche dopo la caduta del governo. Il ministero della difesa,
diretto da Schleicher, aveva invece bisogno di una nuova guida. Dopo alcune proposte di Papen
respinte, Hindenburg decise di affidare la carica al generale Werner von Blomberg, l’inviato
tedesco alla conferenza tedesca sul disarmo che si stava tenendo in Svizzera. Con questa scelta
non si resero conto di fare un grosso favore ad Hitler. Da alcuni mesi, infatti, von Blomberg si stava
avvicinando all’ideologia nazista e aveva espresso spesso il desiderio di vedere il leader nazista alla
guida del governo, deluso dalla lenta rinascita militare di Schleicher. 

Ormai i giochi sembravano fatti e Papen strappò a Hindenburg la promessa che il nuovo
cancelliere, Hitler, avrebbe giurato la mattina seguente, il 30 gennaio. Il presidente dette anche la
sua approvazione per la nomina dei nuovi ministri. Quattro di essi - Finanze, Affari Esteri, Poste e
Comunicazioni – sarebbero rimasti gli stessi del governo attuale. A Hugenberg venivano affidati i
dicasteri dell’Agricoltura e del Tesoro. Von Blomberg ottenne la carica di ministro della Difesa.
Seldte avrebbe occupato il ministero del Lavoro. I nazisti invece, oltre ad Hitler alla cancelleria,
occuparono le cariche di ministro degli Interni con Frick e quello dei Trasporti con Goering, che
sarebbe anche diventato primo ministro prussiano. Papen invece si riservò la carica di vice-
cancelliere. Come si può vedere dalla lista Hindenburg non si accorse di uno stratagemma adottato
dal suo interlocutore. Sapendo infatti che il presidente avversava un gabinetto Hitler di tipo
presidenziale, dato che avrebbe concesso al Fuhrer troppo potere, lasciò vacante il posto di
inistro della Giustizia assicurando che esso era riservato ad un esponente del partito cattolico di
centro. Le trattative, lasciò intendere Papen, erano ormai a buon punto e presto i cattolici
avrebbero appoggiato il governo. Hindenburg fu così rassicurato e il piano dei cospiratori poteva
considerarsi praticamente riuscito. In seguito sarebbe stato semplice fingere qualche intoppo nelle
trattative. Il presidente, a questo punto, non avrebbe potuto far mancare il suo appoggio al
cancelliere e gli avrebbe dovuto fornire gli speciali decreti che già aveva concesso a Schleicher e a
Papen. 


La mattina del giorno seguente von Blomberg arrivò alla stazione di Berlino dalla Svizzera. Sulla
banchina si trovavano due uomini ad attenderlo: von Hammerstein, che doveva condurlo da
Schleicher, e Oskar von Hindenburg, che lo doveva accompagnare alla cancelleria per prestare
giuramento. Questo fu l’ultimo tentativo compiuto dall’ormai caduto cancelliere per opporsi a
Papen. Anch’esso comunque fallì miseramente poiché von Blomberg decise di seguire il colonnello
Oskar, in quanto rappresentante del comandante supremo delle forze armate. La notizia che
Schleicher avesse tentato di entrare in contatto con il futuro ministro della difesa fece temere un
tentativo di colpo di stato militare. Papen si preoccupò d’affrettare i suoi piani e il primo a prestare
giuramento fu proprio von Blomberg, andando così contro la costituzione che prevedeva la
destituzione di un ministro prima dell’elezione del suo successore (il ministro della difesa rimaneva
Schleicher, al momento del giuramento). Subito dopo fu il turno di Hitler e, di seguito, di tutti gli
altri ministri. Alle undici e mezzo circa era tutto finito ed il gabinetto Hitler era ormai una realtà. 

Nonostante un simile avvenimento furono in pochi a rendersi conto della gravità di ciò che era
appena successo. A parte i partiti politici che si schierarono per lo più contro la scelta di
Hindenbug, furono i cittadini a dare poco peso all’insediamento di Hitler alla cancelleria. Un simile
avvenimento non era certo una novità. I pochi che si accorsero della gravità di un simile gesto si
appellarono ad Hindenburg perché ricordasse la sua promessa di non consegnare il potere nelle
ani dell’ormai prossimo dittatore. Ma ormai il presidente aveva deciso e difficilmente sarebbe
tornato indietro. 

La sera i festeggiamenti dei nazisti per la nomina di Hitler si susseguirono tutta la notte nell’intera
Germania. A Berlino Hitler rimase affacciato alla finestra del suo nuovo studio a salutare la gente
piena di gioia per la vittoria appena ottenuto. Lungo la Wilhelmstrasse migliaia di persone
assistettero alla parata di 25.000 SA, organizzata per celebrare degnamente l’evento. Una simile
vittoria non faceva altro che rinforzare in Hitler la convinzione d’essere l’uomo della provvidenza.
Ormai si sentiva invincibile, nulla lo poteva fermare. Era addirittura convinto che Dio fosse dalla
sua parte, che non lo avrebbe mai abbandonato nel ca
ino che restava ancora da percorrere.
Ora che aveva raggiunto il potere, promise a sé stesso che non lo avrebbe mai più lasciato. La
tendenza a giocare sempre il tutto per tutto si era ormai radicata profondamente nel suo modo di
fare e non lo avrebbe mai più lasciato. Presto gli avrebbe portato sfolgoranti vittorie, ma alla fine
lo avrebbe tradito. 

Anche Hindenburg quella sera osservava la felicità dei nazisti in una stanza dell’ala vecchia del
Reichstag. Forse stava pensando a quello che sarebbe accaduto al suo Paese in pochi anni sotto la
guida di Hitler. Papen e Hugenberg, invece, non si preoccuparono minimamente di ciò che
avevano causato. Anzi, erano convinti di giostrare con il nuovo cancelliere per i loro scopi. “Nel
giro di due mesi lo costringeremo in un angolo così fortemente che le sue ossa scricchioleranno”
affermò un raggiante Papen, assistendo al compimento del suo piano. 

Il giorno seguente Hindenburg ricevette un telegramma, quasi una visione del futuro della
Germania, da parte del generale Erich Ludendorff, suo capo di stato maggiore durante la prima
guerra mondiale: “Nominando Hitler cancelliere del Reich tu hai posto la nostra sacra madre patria
nelle mani di uno dei più astuti demagoghi di tutti i tempi. Io prevedo che quest’uomo diabolico
sprofonderà il nostro Reich nell’abisso e procurerà al nostro popolo immani sofferenze. Le generazioni future malediranno il tuo nome”. 



CONCLUSIONE

Oggi, quasi 70 anni dopo l’ascesa del nazismo in Germania, molti sono convinti che nulla avrebbe
potuto fermare Hitler nel suo cammino verso il potere assoluto. Generalmente si crede che il
dittatore, operando in una repubblica, fosse stato eletto democraticamente e che godesse, al
omento della sua elezione, dell’appoggio di quasi tutti i suoi concittadini. Altri, invece, pensano
che il Fuhrer avesse raggiunto il controllo completo sulla sua nazione grazie ad un colpo di stato
ilitare. 

Queste convinzioni sono completamente errate. Non ci fu alcun putsch militare, nessuna elezione
dai risultati strabilianti. Hitler sembrava invece destinato a tornare nell’ombra dopo un'ascesa
fulminea che aveva trasformato il minuscolo partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi nella
più importante realtà politica tedesca dei primi anni trenta. Il destino della Germania si giocò
invece in un arco di tempo molto ristretto: i 31 giorni del gennaio 1933. 

Come spesso avviene furono poche persone a decidere le sorti di un intero popolo. Tra queste,
nonostante le apparenze, non c’è Hitler. Il suo ruolo nelle vicende che lo portarono al potere fu
solo marginale. Per lo più dovette limitarsi a guardare i suoi alleati ed avversari politici che, con le
loro decisioni, avrebbero influenzato il futuro del partito. Questo non vuol dire che una parte del
erito non spetti comunque al Fuhrer. Se non si possiedono determinati requisiti è impossibile
arrivare ai vertici della politica in così poco tempo. L’abilità oratoria, il suo grande carisma che ne
faceva un leader incontrastato, la cieca fiducia nella sua missione furono determinanti ai fini del
successo. Più volte aveva rischiato di perdere tutto per poter andare avanti. Fu proprio questa
caratteristica che faceva di Hitler un politico fuori del comune. I leader degli altri partiti non
rischiarono mai quanto lui per raggiungere i loro obiettivi. Giocarsi in pochi giorni il lavoro di anni
richiede una grande fiducia nelle proprie capacità, una fede incrollabile, quasi un cieco fanatismo.
Solo lui possedeva tutto ciò. L’azzardo fu la sua arma vincente nei primi anni e la sua condanna
all’oblio negli ultimi. Se c’era da fare una scelta, Hitler cercava sempre la soluzione più difficile, ma
che, se tutto fosse andato secondo i piani, gli avrebbe permesso una vittoria schiacciante e
definitiva. Tutta la sua vita politica fu caratterizzata da simili scelte. La rioccupazione militare della
Renania del 7 marzo 1936, che avrebbe potuto scatenare violente reazioni da parte dei francesi, fu
un successo. Così come l’attacco alla Francia attraverso le Ardenne ideato da Manstein o le fasi
iniziali dell’Operazione Barbarossa. Tutte decisioni prese da Hitler dettate più dal suo “istinto” che
dalla logica. Ma la cieca fiducia in sé stesso determinò anche alcune delle sconfitte che segnarono
il suo destino, come l’assedio di Stalingrado o la fallimentare offensiva a Kursk nel 1943. 

A decidere il futuro della Germania furono invece tre sole persone: Hindenburg, Papen e
Schleicher. È inutile, oggi, a quasi settanta anni di distanza, cercare un colpevole per quegli
avvenimenti. Giudicare adesso il loro operato, alla luce di ciò che divenne Hitler dopo la sua ascesa
al potere, è troppo facile. Allora le cose erano meno evidenti di come appaiono ora. I tre politici
tedeschi vanno invece accusati di aver cercato più il loro interesse che il bene della patria. Spesso
si lasciarono guidare dai loro sentimenti e dal desiderio di vendetta nel prendere decisioni molto
importanti. Papen ideò tutto il suo piano solo per vendicarsi di Schleicher. Hindenburg, che aveva
in fin dei conti l’ultima parola in quanto presidente, si lasciò guidare solo dall’antipatia che provava
per Schleicher. Quest’ultimo probabilmente fu l’unico che non perseguiva alcun interesse
personale. Sembra quasi che fosse stato travolto dagli eventi di gennaio, senza che potesse far
olto per cambiare la situazione. Tutti e tre compirono comunque un gravissimo errore:
sottovalutare Hitler. Quando si decide di colpire un nemico, si deve studiarlo a fondo per capirne i

punti di forza e le debolezze. Papen e Schleicher pensavano invece di poter giostrare con il leader
nazista a loro piacimento. Lo consideravano un mezzo per attuare i loro fini. Hindenburg lo
chiamava con disprezzo “il mio caporale”. Hitler, che a differenza dei suoi avversari non aveva
neanche finito gli studi, approfittò magistralmente della situazione. Intuì cosa pensavano di lui i
due politici tedeschi e ne approfittò. Lasciò credere a Papen di poterlo controllare ma quando alla
fine raggiunse il potere si sbarazzò di lui senza alcun problema.

La nascita del Terzo Reich era quindi evitabile perché non dipendeva completamente da Hitler. Fu
dettata da una serie di coincidenze che unite crearono la fortuna del leader nazista. Schleicher
poteva tranquillamente continuare a detenere il potere, ma i suoi limiti in campo politico e i modi
bruschi nei confronti del presidente spianarono la strada alla cospirazione che lo avrebbe
destituito. Hindenburg si lasciò influenzare facilmente nelle sue scelte e fu quasi una marionetta
nelle mani del suo protetto Franz. Papen avrebbe potuto mantenere la cancelleria, se lo avesse
voluto, grazie all’amicizia che lo legava al presidenteOltre a questi fattori la sorte sembrò schierarsi
dalla parte di Hitler. Le elezioni nel Lippe giunsero proprio quando si rendeva necessario
risollevare il morale fra le file del partito. Gregor Strasser gli rimase fedele nonostante l’espulsione
dal partito e suo fratello Otto non rappresentò mai una minaccia. L’incontro a Colonia con Papen
gli diede una possibilità concreta di giungere al potere proprio quando il suo partito stava
perdendo forza.

Anche inglesi e francesi contribuirono, seppur molto indirettamente, all’iniziale ascesa di Hitler. Il
trattato di Versailles era una ferita aperta nel cuore di ogni cittadino della Germania. Scaricava,
infatti, la colpa per lo scoppio della guerra sul solo popolo tedesco. Aveva anche piegato
economicamente la nazione portando una disoccupazione impressionante e una inflazione mai più
eguagliata in tutta l’Europa. I debiti di guerra costringevano i tedeschi a consegnare parte della
loro produzione industriale ed agricola ai paesi vincitori. Tutti questi fattori contribuirono a creare
un malcontento generale verso il governo, incapace di far fronte ai problemi derivanti dalla crisi
economica. La campagna politica di Hitler, che prometteva sostanziali miglioramenti, e la sua
ideologia, che trovava negli ebrei e nel marxismo un capro espiatorio alle difficoltà in cui verteva la
Germania, ebbe quindi molto successo. Tantissime persone provate dalle privazioni causate dal
trattato votarono per i nazisti, agli inizi del 1930, contribuendo così alla loro ascesa. Il documento
era così duro che gli Stati Uniti si rifiutarono di ratificarlo. Un membro della commissione
americana commentò: “Questo non è un trattato di pace, vedo almeno una dozzina di guerre in
esso”.

Decine d’anni di studi hanno confermato che l’ascesa di Hitler non era inevitabile. Essa deve farci
riflettere ancora oggi sull’importanza di affidare il potere alla persona giusta. La storia ora
potrebbe essere decisamente diversa se un pugno ristretto di uomini avesse lasciato da parte i
desideri personali e avesse pensato solo al bene della nazione.

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