giovedì 10 luglio 2014

Werner Von Braun

Nel secondo dopoguerra l’esplorazione dello spazio è stata di grande importanza strategica per le grandi potenze, USA e URSS, che hanno investito enormi risorse in questo campo. Oggi lo spazio è una realtà fondamentale anche per l’economia e per lo studio del nostro pianeta e dell’universo (si pensi al gran numero di satelliti ormai in orbita, utilizzati per scopi diversi). Nella corsa alla conquista dello spazio, un ruolo determinante è stato giocato da personaggi come Wernher von Braun; non tutti sanno, tuttavia, che quest’ultimo iniziò la sua carriera nella Germania nazista, sfruttando senza scrupoli il lavoro dei deportati.
Come si arrivò alla costruzione del primo razzo

Nato nel 1912 a Wirsitz, in Slesia, da una famiglia della grande aristocrazia tedesca, Wernher von Braun ereditò dalla madre la passione per l’astronomia; una passione tale che, dopo aver letto un libro in cui si ipotizzava l’uso di razzi negli spazi interplanetari, il giovane cercò perfino di superare le difficoltà che, a scuola, incontrava in matematica. A diciotto anni, nel 1930, von Braun si propose come assistente proprio all’autore del libro sui razzi, lo scienziato Hermann Oberth.

Per due anni von Braun collaborò con Oberth e il suo gruppo di studio, la “Società per la navigazione spaziale” (Verein für Raumschiffahrt), che faceva esperimenti alla periferia di Berlino nel “campo di volo per razzi” (Raketenflugplatz), e che – tuttavia – doveva continuamente misurarsi con una cronica mancanza di risorse per continuare le ricerche. Ambizione del gruppo di Oberth era costruire un razzo con una spinta propulsiva tale da permettergli di viaggiare nello spazio, ma i fallimenti erano più numerosi dei successi.

A causa di un incidente avvenuto durante una sperimentazione (un razzo finì su un capannone della polizia incendiandolo, fortunatamente senza fare vittime), il gruppo dovette sospendere per un po’ di tempo le ricerche. Questo segnò di fatto la fine della “Società per la Navigazione Spaziale”, ma l’inizio della rapidissima carriera del giovane von Braun. Oberth fu il suo maestro, ma von Braun era pronto a prenderne il posto, e una serie di circostanze gliene offrì la possibilità. L’incendio del capannone della polizia, infatti, aveva dimostrato che un razzo poteva trasformarsi in una bomba da lanciare a distanza; ciò destò l’interesse dell’esercito, perché nel trattato di Versailles, che vietava il riarmo tedesco, non si parlava di razzi.
L’inizio della collaborazione con l’esercito e i primi lanci

Fu così che, nel novembre del 1932, von Braun passò alle dipendenze dell’esercito come impiegato civile, impegnandosi a condurre ricerche finalizzate alla costruzione di missili come armi da guerra. Erano queste le condizioni per poter ricevere finanziamenti, poste dai tre ufficiali dell’esercito – tra i quali il capitano Dornberger – che si erano recati in visita al campo volo per razzi. Von Braun avrebbe poi dichiarato da un lato di non aver pensato che i razzi potessero diventare mezzi di distruzione, dall’altro che per lui contava solo il progresso scientifico; ma le sue parole sono poco credibili, soprattutto se si pensa che, poco dopo, Hitler prese il potere e pianificò il riarmo della Germania: «von Braun, molto semplicemente, fece le sue scelte».

Nel gennaio del 1933, von Braun mise a punto un prototipo, l’Aggregat 1 o A1, a cui fecero seguito, nel 1934, l’A2 e l’A3; i lanci di prova (effettuati prima nel campo di Kummersdorf, alla periferia di Berlino, e poi nel mare del Nord) misero infatti in evidenza difetti – relativi alla stabilità della traiettoria o all’accensione del motore - che di volta in volta vennero risolti. Nel frattempo il giovane scienziato aveva proseguito gli studi presso la facoltà di fisica, giungendo fino alla laurea. Nel 1937 fu la volta dell’A5; in quello stesso anno venne chiesto a von Braun di entrare nel partito nazista; egli accettò e, nel 1940, divenne anche ufficiale delle SS.
Peenemünde

Sollecitato da Dornberger, che minacciò la sospensione dei finanziamenti, von Braun promise la costruzione di un razzo in grado di trasportare una tonnellata di esplosivo a trecento chilometri di distanza. Iniziò pertanto a lavorare a una nuova versione dell’A4, spostandosi in una base più grande, sul mar Baltico, nel golfo di Pomerania: Peenemünde. Per questa nuova sede l’esercitò stanziò ben sei milioni di marchi, così che von Braun poté contare, anche dopo l’inizio della guerra, sulla collaborazione di 3500 tecnici, inquadrati nell’esercito ma – grazie all’intercessione di Dornberger – esentati dal servizio militare al fronte. Anche la Luftwaffe investì risorse nella base di Peenemünde, nella quale lavoravano, complessivamente, 2000 scienziati e 4000 tecnici.

Con il fallimento della battaglia d’Inghilterra, nel 1940, divenne evidente che la Luftwaffe non aveva i mezzi per vincere la guerra rapidamente; pertanto, vennero intensificate le ricerche sull’A4, che portarono, il 3 ottobre 1942, a un razzo in grado di percorrere ben 190 chilometri e di salire in quota fino a 85 chilometri: era il primo veicolo spaziale. Von Braun lo predispose per il trasporto di una tonnellata di esplosivo: questa era, secondo quanto avrebbe dichiarato, la strada obbligata per poter proseguire i suoi studi.

Il lancio del 3 ottobre era stato filmato e abilmente montato; quando Dornberger e von Braun lo mostrarono a Hitler, questi si convinse dell’utilità della nuova arma e, con il parere positivo del ministro degli Armamenti, Speer, ordinò la produzione in serie di quella che sarebbe stata la Vergeltungswaffe 2 (arma di rappresaglia 2), o V2. Inutilmente Göring cercò di dirottare finanziamenti sull’aereo senza pilota che i suoi ricercatori – a Peenemünde -stavano mettendo a punto: nel maggio del 1943 una “Commissione per il bombardamento lontano” stabilì che l’arma proposta da Göring, l’Fi 103, più nota come V1, non poteva essere definita migliore del razzo di von Braun, perché instabile, imprecisa e lenta.
Il bombardamento di Peenemünde e il trasferimento a Nordhausen

Gli esperimenti di Peenemünde non rimasero segreti a lungo: la base venne fotografata da aerei spia inglesi, mentre i pescatori del Baltico raccontavano di strani oggetti volanti; anche la Resistenza polacca stava raccogliendo notizie attraverso i propri uomini, prigionieri dei tedeschi. Le informazioni vennero fornite da Duncan Sandys, un ufficiale incaricato dal governo inglese di un'inchiesta su quello che era ormai il "mistero" di Peenemünde. Alle notizie raccolte da Sandys si aggiunse la preoccupazione per un eventuale uso di armi atomiche. I tedeschi erano ancora lontani dalla costruzione della bomba atomica, ma, nel dubbio, Churchill ordinò la distruzione di Peenemünde. L’attacco ebbe inizio la notte del 17 agosto 1943: von Braun e Dornberger riuscirono a salvare carte e documenti con i progetti, anche perché, per un errore, la maggior parte delle bombe era caduta sulle baracche dei lavoratori: metà dei 753 morti erano prigionieri.

Il generale delle SS Hans Kammler venne allora incaricato da Hitler di cercare un luogo più sicuro ove trasferire gli impianti. Venne individuato vicino a Nordhausen, nelle montagne dello Harz, in Turingia, un sistema di gallerie risalenti all’epoca della prima guerra mondiale e utilizzate in passato per produrre esplosivi e concimi. In pochi mesi, Kammler le trasformò nella più grande fabbrica sotterranea della Germania, che prese il nome di “Dora”, acronimo di Deutsche Organisation Reichs Arbeit. Kammler trasferì nelle Alpi bavaresi la galleria del vento, mentre i lanci di prova sarebbero stati fatti in Polonia. Dieci giorni dopo il bombardamento di Peenemünde, nelle gallerie di Dora furono trasferiti i primi deportati provenienti da Buchenwald: era nato quello che le SS chiamarono ufficialmente “Arbeitslager Dora”. In un primo tempo i prigionieri dovettero – con un lavoro massacrante - ampliare e consolidare le gallerie, quindi una parte di loro fu costretta a lavorare alla costruzione delle V1 e delle V2. In questo lager – al quale è dedicato un approfondimento in questo ebook – passarono circa 60.000 prigionieri; di essi, circa 20.000 morirono per la fatica, la fame, le malattie, le “punizioni” delle SS per chi era sospettato di sabotaggio, i bombardamenti inglesi e, infine, per le marce della morte dopo l’evacuazione del campo.
La presenza di von Braun a Dora

Molto spesso si sottovalutano il coinvolgimento di von Braun e il suo cinismo di fronte a tanto orrore. Purtroppo non ci sono prove documentate della sua presenza nel campo, ma molte sono le testimonianze di prigionieri di Dora. Alla fine del 1944, Dora era divenuto un campo autonomo, con trentuno sottocampi, e stupisce che il padre delle V2 non sia venuto a conoscenza (come lui in seguito sostenne) del luogo in cui venivano prodotte.

Jean Michel, ex lavoratore forzato in questo campo, sostiene nel suo libro su Dora che «Dornberger, von Braun, Gröttrup e tutti gli altri scienziati che troppo comodamente vengono definiti “scienziati di Peenemünde” erano perfettamente al corrente dei crimini che venivano perpetrati a Dora. Numerosi compagni li hanno visti nel tunnel e nei laboratori». E sostiene inoltre che

anche prima dell’assorbimento definitivo da parte della piovra Dora, nel gennaio del 1945, la fabbricazione in serie di un prototipo che era lontano dall’essere pronto richiedeva un contatto continuo tra i ricercatori di Peenemünde e gli esecutori di Dora. Molte conversazioni con gli attuali specialisti francesi di missili e con tecnici dell’Armamento mi hanno convinto che era assolutamente impossibile fabbricare le V2 in serie senza che il “direttore di programma” (Dornberger), Wernher von Braun (l’ingegnere progettista), e gli “ingegneri dell’esecutivo” (Riedel, Steinhoff, Gröttrup) vivessero in costante collegamento con i tecnici e la manodopera incaricata della fabbricazione.

Altri si sono fatti portavoce del crudele trattamento a cui erano sottoposti i lavoratori e a cui lo stesso von Braun aveva assistito senza alcun coinvolgimento emotivo. Un esempio lo troviamo nel libro di Ricciotti Lazzero, in un paragrafo intitolato “La visita in galleria di von Braun”, ove si dice: «anche il professor Wernher von Braun, racconterà il polacco Adam Cabala nel 1957, si recò a visitare quelle gallerie insieme a un gruppo di scienziati»; secondo il racconto di Cabala,

vi andò una cinquantina di volte, passando davanti alla galleria trasversale 36. Lunghi 6 metri, tavolacci di legno fradicio coprivano tre quarti della sua superficie. In fondo alla galleria, dove essa confinava con il corridoio A, si svolgeva l'atto più vergognoso di Dora. Su una piccola superficie, accanto allo stambugio dell'ambulanza, giacevano a mucchi i prigionieri che il giogo del lavoro e il terrore dei controllori vendicativi avevano portato alla morte. Da lontano si vedeva questa grossa massa di cadaveri. Il professor von Braun vi passò vicino, così vicino da toccarla. Possibile che non gli abbia fatto alcun effetto? Inorridivano persino i prigionieri passando in quell'angolo. Ma von Braun non vi diede neanche uno sguardo. Io non credo che non abbia visto i moribondi nel fango e nella sporcizia. Deve averli visti! Egli non ha mai protestato contro quella crudeltà e quella barbarie.

Lo stesso Ricciotti Lazzero dà per scontato che von Braun passò per le gallerie di Dora.

I bombardamenti sull’Inghilterra

La produzione in serie di V2 divenne un obiettivo urgente per i nazisti, che speravano di mutare con queste armi le sorti della guerra. Himmler mal tollerava le prove e le sperimentazioni, che riteneva inutili lungaggini; fu probabilmente lui a dare l’ordine di arrestare von Braun, che rimase in carcere due settimane, nel marzo del 1944, con l’accusa, da parte della Gestapo, di sabotaggio, per aver affermato che i missili avrebbero dovuto essere diretti verso la luna, e non verso i territori nemici. Liberato per intercessione di Dornberger e di Speer, lo scienziato dovette impegnarsi a consegnare razzi che potessero venir impiegati come bombe. Così, dopo che Londra era stata bombardata con le V1, facilmente intercettate dalla contraerea inglese, nel settembre del 1944 le prime V2 vennero lanciate su Londra, Parigi, Anversa e altre città. Provocarono alcune migliaia di morti, ma non permisero a Hitler di vincere la guerra. È stato osservato come la V2 sia l’unica arma la cui produzione ha provocato più vittime del suo impiego.
La sconfitta e la resa di von Braun agli americani

Agli inizi del 1945, mentre a Peenemünde stavano per arrivare le truppe sovietiche, von Braun decise, con altri 500 tecnici, di fuggire e di consegnarsi agli americani. Elusi i controlli dell’esercito, che aveva l’ordine di impedire la fuga dei tecnici delle V2, e dopo aver nascosto a Dora documenti e progetti, von Braun raggiunse il Tirolo e qui, il 2 maggio 1945, con il fratello Magnus e Dornberger, si consegnò all’esercito americano.

Seguendo le indicazioni di von Braun, l’esercito americano poté rinvenire nelle gallerie di Nordhausen numerose V2, materiale per la loro costruzione e relativi progetti. Tutto venne portato via in grande fretta, perché l’area rientrava nella zona di occupazione sovietica. In premio per la sua collaborazione, dopo essere stato a lungo interrogato sia dagli americani sia dagli inglesi, von Braun ottenne di poter espatriare negli Stati Uniti insieme con 115 tecnici. Anche gli inglesi gli avevano proposto di collaborare con loro, ma von Braun, nonostante il governo britannico avesse fatto arrestare Dornberger, rifiutò.

Il 29 settembre del 1945 von Braun sbarcò vicino a Boston, sotto la responsabilità dell'esercito e la tutela del maggiore Hamill. Alle iniziali proteste da parte dell’opinione pubblica americana, scandalizzata perché il governo stava proteggendo tecnici nazisti, seguì l’accettazione del fatto che, in fondo, von Braun avrebbe lavorato a vantaggio degli Stati Uniti. Nel marzo del 1947, von Braun sposò una cugina tedesca, residente in Germania, Maria Luise von Quistorp, dopo aver combinato il matrimonio per via epistolare. In seguito lo scienziato collaborò con James Van Allen, studioso dei raggi cosmici, e tornò a un suo vecchio progetto: un razzo a più stadi. Il prototipo venne lanciato il 19 febbraio del 1949. Nel 1951 von Braun presentò a Londra una relazione su un ipotetico viaggio su Marte. Negli anni successivi sviluppò le sue ricerche in collaborazione con marina, aviazione ed esercito americani.
Il 20 settembre del 1956 un razzo Jupiter-C percorse una distanza di 5300 chilometri, dimostrando che era possibile mandare in orbita un satellite. Ma furono i sovietici che, il 4 ottobre del 1957, informarono il mondo di aver messo in orbita il primo satellite artificiale, lo Sputnik. Nel 1958 von Braun riuscì a lanciare nello spazio il satellite Explorer, finché, nel 1960, il presidente americano Eisenhower istituì un ente, la NASA, alla direzione del quale venne posto proprio von Braun. E fu con il missile progettato da von Braun, il Saturno, che il 20 luglio 1969 la capsula Apollo raggiunse, con il suo equipaggio, la Luna.

Wernher von Braun morì in Virginia, il 16 giugno 1977, senza mai aver ammesso le sue responsabilità per la morte di migliaia di persone. Purtroppo, molti gli credettero, e ancora gli credono.

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