mercoledì 9 luglio 2014

Leviathan o Behemoth? Stato, partito e Fürher nel nazionalsocialismo

Agli occhi dei contemporanei, la determinazione e la carica di violenza esibite dal nazionalsocialismo, soprattutto negli anni della guerra, rinviavano alla solidità e all'efficienza di una macchina perfetta, capace di realizzare senza tentennamenti gli obiettivi più mostruosi del regime, come per esempio lo sterminio degli ebrei.

Il richiamo alle teorie di Hobbes
Già nel corso della guerra, tuttavia, era stata avanzata un'interpretazione diversa. Nel 1942 Franz Neumann aveva pubblicato un libro, intitolato Behemoth che fondeva l'analisi economica, istituzionale e sociale del nazismo, realizzando un modello d'indagine per certi aspetti tuttora insuperato. Leviathan o Behemoth sono due mostri della tradizione ebraica, ai quali Thomas Hobbes intitolò le sue grandi opere, raffigurando nel primo lo stato, ovvero " un sistema politico di coercizione in cui sono ancora conservate le vestigia del dominio della legge e dei diritti individuali", e nel secondo "un non stato, un caos, una situazione di illegalità, disordine e anarchia". Poiché indica la coesistenza nel nazionalsocialismo di quattro diversi poteri (partito, esercito, burocrazia e industria), Neumann può essere considerato il primo sostenitore di una interpretazione "policratica" (vale a dire attenta a individuare una pluralità di poteri ) di quel regime. Il dibattito storiografico sulla struttura e la pratica di governo del nazismo, riconducibile alle due diverse proposte interpretative simboleggiate rispettivamente da Leviathan e Behemoth ha assunto forme particolarmente accese nel corso degli anni settanta, grazie alla pubblicazione pressochè contemporanea dei lavori di Karl Dietrich Bracher e di Martin Broszat.

La Posizione internazionalista
Caratteristico della posizione di Bracher, oltre all'uso della categoria di totalitarismo e al rifiuto di considerare il nazismo come appartenete alla famiglia dei fascismi, è il ruolo di assoluta preminenza assegnato alla figura di Hitler. Nella dittatura personale del Fuhrer si realizza la coerenza del regime, già inscritta in un'ideologia demoniaca come quella enunciata dallo stesso Hitler in Mein Kampf. L'intera storia del nazismo culminata nello sterminio degli ebrei viene letta come una realizzazione delle intenzioni deichiarate del dittatore. Non a caso questa proposta interpretativa è stata definita "intenzionalista".

I Funzionalisti
"Funzionalisti" sono stati invece chiamati gli storici che, riallacciandosi all'interpretazione di Neumann, individuano nei rapporti tra gli apparati di governo della Germania nazista la manifestazione dei spinte e tendenze diverse. Sarebbero cioè i rapporti di forza e i conflitti tra i vari centri di potere del sistema - esercito e Ss, burocrazia statale e di partito ecc, - a determinare di volta in volta le scelte del regime, che solo retrospettivamente appaiono dotate di una rigida consequenzialità. Non per questo la figura di Hitler per i funzionalisti un ruolo marginale; il suo potere personale sarebbe però più il prodotto di una straordinaria popolarità, che l'espressione e il simbolo dell'unitarietà del sistema. Questi studiosi, inoltre, tracciano una distinzione tra i primi anni del regime e la fase che si apre con la preparazione della guerra: mentre inizialmente le scelte di Hitler sarebbero state bilanciate e condizionate dai settori conservatori e autoritari dello stato e dell'esercito, con il 1937-38 i posti chiave dell'amministrazione sarebbero stati tutti occupati dai seguaci del dittatore, determinati a procedere senza remore per il conseguimento dei fini distruttivi.

Un dibattito che riguarda il popolo tedesco
Il conflitto interpretativo non è, tuttavia, una semplice divergenza di opinioni, perché tocca questioni chiave per l'identità nazionale dei tedeschi. Gli intenzionalisti rimproverano per esempio ai funzionalisti di "banalizzare" il nazismo o addirittura di tesserne l'apologia: la loro interpretazione "strutturale" fa riferimento a forze astratte, a "funzioni" del sistema, e rinuncia - questa è l'accusa principale - a un giudizio morale di condanna nei confronti del nazismo. A loro volta, gli intenzionalisti vengono accusati di ridurre la storia del regime all'ideologia demoniaca di Hitler, sottovalutando le corresponsabilità delle vecchie classi dirigenti nell'avvento del regime. Inoltre viene loro rimproverato di eludere il problema delle continuità della storia tedesca : Hitler non nasce per caso e il suo successo può essere spiegato come una parentesi aberrante in un corso della storia tedesca sostanzialmente positivo. Che il conflitto interpretativo ne nasconda uno "politico" viene confermato dal fatto che quando, nel 1986, scoppierà quella che è stata chiamata la "disputa tra gli storici" (Historikerstreit, le accuse e i ruoli verranno rovesciati: Ernst Nolte, lo storico che aprirà la controversia con un articolo dal titolo Il passato che non vuole passare e coloro che si schiereranno con lui, tra i quali molti "intenzionalisti", saranno a loro volta accusati di voler "banalizzare" il nazismo. Il giudizio sul nazismo appare dunque decisivo non solo per una migliore comprensione del passato ma anche per il futuro della Germania: benchè tutti gli storici coinvolti nella discussione siano dichiaratamente antinazisti, essi si dividono tra chi mette al centro dell'identità collettiva la tradizione storica della nazione depurata della vicenda nazista e chi invece della storia tedesca di cui i nazismo sarebbe un risultato non casuale. Criticare la riduzione ideologica del dibattito storiografico non significa comunque rinunciare a pronunciare giudizi morali, particolarmente necessari nei confronti dei crimini del nazismo. Come ha scritto un grande storico inglese, Tim Mason, occorre però " odiare con assoluta precisione" : vale a dire che il giudizio morale, per essere legittimo ed efficace, deve giungere solo al termine di un'analisi storica esauriente e sistematica.

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