sabato 12 luglio 2014
La guerra: Fine della campagna d'Italia
La lunga, ostinata e inattesa resistenza tedesca su tutti i fronti aveva ridotto gli inglesi e gli americani molto a corto di munizioni d’artiglieria, e le loro dure esperienze di guerra invernale in Italia li costrinsero a rinviare un’offensiva generale sino a primavera. Ma l’aviazione alleata, al comando del generale Eaker e poi del generale Cannon, sfruttò la propria superiorità di trenta a uno in spietati attacchi contro le linee di rifornimento che alimentavano le armate tedesche. Quella più importante, da Verona al Passo del Brennero, dove Hitler e Mussolini solevano incontrarsi nei loro giorni migliori, rimase bloccata in molti punti per quasi tutto il mese di marzo; altri passi furono spesso chiusi per settimane di fila, e due divisioni in corso di trasferimento al fronte russo subirono un ritardo di quasi un mese. I tedeschi avevano abbastanza munizioni e rifornimenti, ma scarseggiava di carburante.
Le unità erano generalmente al completo di forza, e il loro morale era alto a dispetto dei rovesci subiti da Hitler sul Reno e sull’Oder. Nell’Italia settentrionale i tedeschi avevano ventisette divisioni, di cui quattro italiane, contro il l'equivalente di ventitré attinte all’Impero britannico, agli Stati Uniti, alla Polonia, al Brasile e all’Italia. L’Alto Comando tedesco avrebbe avuto ben poco da temere se non fosse stato per il dominio aereo degli Alleati, per il fatto che essi avevano l’iniziativa e potevano colpire dove più gli piaceva, e per la sua mal scelta posizione difensiva, col largo Po alle spalle. I tedeschi avrebbero fatto meglio a cedere l’Italia settentrionale e ritirarsi sulle forti difese dell’Adige, dove avrebbero potuto fermarci con forze molto più esigue, e mandar truppe altrove ad aiutare le loro armate soverchiate di numero, oppure costituire un saldo fronte meridionale per la Ridotta Nazionale nelle montagne del Tirolo, cui forse Hitler pensò come sua estrema trincea.
Ma una sconfitta a sud del Po voleva dire un disastro. Ciò dovette risultar palese a Kesselring. Hitler ne fu naturalmente l’intralcio, e quando Vietinghoff, che succedette a Kesselring, propose una ritirata tattica, fu cosi' rimbeccato:«Il Fùhrer si aspetta, oggi come prima, la massima costanza nell’adempimento della vostra attuale missione di difendere ogni pollice delle zone nord-italiane adatte al vostro comando». Questo facilitò gli Alleati. Se non potevano irrompere nel fianco adriatico e raggiungere rapidamente il Po, tutte le armate tedesche sarebbero rimaste tagliate fuori e costrette alla resa, e appunto a questo Alexander e Clark tesero i loro sforzi quando venne il momento della battaglia finale. La conquista di Bologna, che aveva tanto campeggiato nei piani autunnali degli Alleati, non fu più un oggetto principale.Il piano era che l’8à armata, agli ordini del generale McCreery, si aprisse un varco lungo la strada da Bastia ad Argenta, un passaggio stretto e fortemente difeso, allagato da entrambe le parti ma conducente a terreno più aperto. Quando ciò fosse bene avviato, la 5a armata del generale Truscott doveva sferrare l’attacco dal montagnoso fronte centrale, passare a ovest di Bologna, dare la mano all’8a armata sul Po, e insieme iniziare l’inseguimento fino all’Adige. Le forze navali alleate avrebbero fatto credere al nemico che fossero imminenti sbarchi anfibi sia sulla costa orientale sia su quella occidentale. La sera del 9 aprile, dopo un giorno di attacchi aerei in massa e cannoneggiamento, l’8a armata attaccò attraverso il fiume Senio, sulla scia del V corpo e del corpo d’armata polacco. Il giorno 11 raggiunse il fiume successivo, il Santerno. La brigata di avanguardia della 56a divisione e alcuni Commandos effettuarono uno sbarco di sorpresa a Menate, cinque chilometri alle spalle dei tedeshi,traghettati da un nuovo tipo di carro armato anfibio porta-truppe detto “il Bufalo”, che era venuto per mare da una base avanzata nell’Adriatico.
Per il 14 c’erano buone notizie lungo tutto il fronte dell’8a armata. I polacchi presero Imola. La divisione neozelandese attraversò il Sillaro. La 78a divisione, puntando a nord, prese il ponte di Bastia e si unii agli attacchi della 56a sulla strada di Argenta. I tedeschi sapevano bene che questa era la loro cerniera critica e combatterono disperatamente. Quel giorno stesso la 5a armata iniziò l’attacco centrale a ovest della strada Pistoia-Bologna. Dopo una settimana di duri combattimenti, appoggiata dal peso massiccio dell’aviazione alleata, sboccò dalle montagne, attraversò la strada principale a ovest di Bologna e puntò a nord.Il 20 Vietinghoff, a onta del divieto di Hitler, ordinò una ritirata. Egli riferii con molto tatto di «aver deciso di abbandonare la politica di difesa statica per adottare una strategia mobile». Era troppo tardi. Argenta era già caduta e la 6a divisione corazzata britannica si lanciava su Ferrara. Bologna era minacciata dappresso a est dai polacchi e a sud dalla 34a divisione americana. Fu conquistata il 21 aprile, e qui i polacchi distrussero la famosa 1à divisione paracadutisti tedesca. La 5à armata incalzava in direzione del Po, mentre l’aviazione tattica seminava il caos sulle strade davanti al suo cammino. La sua 10à divisione americana alpina varcò il fiume il 23, e il fianco destro dell’armata, costituito dalla 6a divisione sudafricana, si saldò a quello sinistro dell’8a. Intrappolati alle loro spalle rimanevano molte migliaia di tedeschi, che, preclusa la ritirata, si riversavano nei campi di concentramento o venivano avviati alle retrovie.L'offensiva fu un bell’esempio di sforzo terrestre e aereo combinato, dove svolse in pieno la sua parte l’aviazione strategica e tattica.Cacciabombardieri distrussero cannoni, carri armati e reparti tedeschi; bombardieri leggeri e medi attaccarono le linee di rifornimento, e i bombardieri pesanti britannici martellarono giorno e notte le installazioni delle retrovie. Gli Alleati varcarono il Po su largo fronte alle calcagna del nemico. Tutti i ponti stabili erano stati distrutti dalla loro aviazione, e i traghetti e guadi provvisori venivano attaccati con tale effetto che il nemico cadde in preda allo scompiglio. I resti che riuscirono a valicare il fiume, lasciandosi dietro tutto l’equipaggiamento pesante, non poterono riorganizzarsi sull ‘altra riva. Le armate alleate li inseguirono fino all’Adige. I partigiani italiani avevano a lungo molestato il nemico tra le montagne e nelle retrovie; il 25 aprile fu dato il segnale di un’insurrezione generale, ed essi effettuarono attacchi estesi. In molte città grandi e piccole, specie Milano e Venezia, s’impadronirono della situazione. Le rese in Italia nord-occidentale divennero fenomeni di massa. Il presidio di Genova, forte di quattromila uomini, si arrese a un ufficiale di collegamento britannico e ai partigiani. Il 27 l’8a armata varcava l’Adige, puntando su Padova, Treviso e Venezia, mentre la 5a, che già si trovava a Verona, si dirigeva a Vicenza e Trento, e la sua ala sinistra si estendeva a Brescia e Alessandria.
La campagna navale, benché su scala molto più ridotta, era andata altrettanto bene. In gennaio i porti di Spaiato e Zara erano stati occupati dai partigiani, e forze costiere di queste basi molestavano la costa dalmata e aiutava- no la costante avanzata di Tito. Nel solo mese di aprile si ebbero in mare almeno dieci scontri, con danni fatali al nemico e nessuna perdita di navi britanniche. La marina aveva operato su entrambi i fianchi durante le operazioni finali. Sulla costa occidentale forze britanniche, americane e francesi erano continuamente in azione, bombardando e molestando il nemico, rintuzzando persistenti attacchi di naviglio leggero e sottomarini tascabili, e spazzando mine nei porti liberati. Queste attività portarono all’ultima vera azione di cacciatorpediniere in Mediterraneo. L’ex cacciatorpediniere jugoslavo Premuda, catturato dagli italiani all’inizio della guerra, lasciò Genova la notte del 17 marzo, insieme a due caccia italiani tutti con equipaggio tedesco, e tentò di intercettare un convoglio britannico che salpava da Marsiglia dirigendosi a Livorno. I caccia britannici Lookout e Meteor, di pattuglia al largo della punta settentrionale della Corsica, ricevettero l’allarme e attaccarono. Entrambe le navi italiane furono affondate, mentre quelle britanniche non subivano perdite o danni. Quando le unità Alleate raggiunsero l’Adige, i combattimenti in mare erano virtualmente cessati.
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